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La Cantatrice: calva e non solo…

Nel cinquantenario del successo parigino, ritorna al Teatro Arsenale di Milano una delle opere più celebri di Eugène Ionesco, nella versione tradotta e diretta da Marina Spreafico.
La commedia venne rappresentata per la prima volta nel maggio 1950, ma dopo venticinque repliche venne chiusa per mancanza di spettatori finché nel 1957 fu ripresa al Théâtre de la Huchette, una delle sale più piccole di Parigi: da allora è stata rappresentata senza interruzione sia in quella piccola sala (che ad oggi è arrivata a superare le 16.000 repliche) che in tutto il mondo.

Interessante è la storia legata alla sua nascita che vede i suoi (involontari) natali nel manuale di lingua inglese che il regista francese incominciò a studiare nel 1948. Scrive infatti Ionesco: “Fin dalla terza lezione venivano messi l’uno di fronte all’altro due personaggi: il signore e la signora Smith, una coppia di inglesi. Con mia grande sorpresa, la signora Smith informava il marito che essi avevano molti figli, che abitavano nei dintorni di Londra, che il loro nome era Smith, che avevano una domestica, Mary, pure inglese, che avevano, da vent’anni, certi amici di nome Martin. A questo punto ebbi un’illuminazione. Non si trattava più per me di perfezionare la conoscenza della lingua inglese. La mia ambizione era diventata più grande: comunicare ai miei contemporanei le verità essenziali di cui il manuale di conversazione franco-inglese m’aveva reso cosciente. D’altronde i dialoghi degli Smith, dei Martin e degli Smith con i Martin, erano di per sé teatro, in quanto il teatro è dialogo. Dovevo dunque scrivere un’opera teatrale”. E nel 1949 la commedia fu terminata.

Ma veniamo allo spettacolo in scena, introdotto ogni sera da un diverso sketch di 5 minuti a cura dei giovani diplomati della Scuola di Teatro Arsenale e in perfetta linea con lo spirito di varietà che pervade questa trasposizione teatrale de La Cantatrice calva. Dopo l’ introduzione, la cameriera Mary (un’esilarante Paui Galli) annuncia un rapido cambio di scena che avviene sotto gli occhi del pubblico, abbattendo la famosa quarta parete, quella che idealmente separa la scena dalla platea.
Ultimati i preparativi l’opera entra nel vivo, catapultando il pubblico nel salotto dei signori Smith (interpretati da Giovanni Calò e Augusta Gori) dove troviamo i due coniugi, che incarnano la tipica famiglia borghese: gli Smith infatti abitano in una villetta a più piani, sono abbigliati in modo impeccabile ed all’antica, trascorrono il tempo spettegolando su amici e vicini. Una grande importanza hanno poi gli orologi della stanza, che scandiscono il tempo: la pendola suona a caso rintocchi, il cui numero cambia ogni volta. All’improvviso i due coniugi sono colti dalla passione e lasciano la scena alla cameriera Mary che annuncia l’arrivo dei coniugi Martin (interpretati in modo impeccabile da Marino Campanaro e Claudia Lawrence). I Martin si accomodano e in attesa degli Smith, in altre faccende affaccendati, si comportano come perfetti sconosciuti rievocando ricordi di luoghi dove sono stati entrambi nello stesso istante, facendo finta però di non ricordarsi l’uno dell’altro, dialogo questo che ben sintetizza ed esplicita il concetto di “teatro dell’ assurdo”, di cui Ionesco è uno dei più noti rappresentati. Tra balli, musiche e canzoni, la commedia si trasforma, per un attimo, in rivista, tra l’ilarità del pubblico in sala. Quando poi le due coppie finalmente si ricongiungono e cominciano a parlare, il campanello suona più volte: alla porta compare dopo una breve attesa un pompiere (Mario Ficarazzo) alla disperata ricerca di un fuoco da estinguere. I personaggi cominciano a parlare, a raccontare barzellette, poi il pompiere travolge gli stupefatti ospiti con un fitto sproloquio su un’interminabile sequenza di personaggi, che termina solo quando compare la solita cameriera Mary che si rivela essere l’amante del pompiere. A questo punto i due si appartano e scompaiono dalla scena tra lo sbigottimento delle due (benpensanti) coppie che iniziano a spettegolare su quanto accaduto, con sottofondo le urla di piacere della neo-coppia disvelata. I quattro protagonisti si riuniscono infine intorno a un tavolo, come a festeggiare, iniziando a giocare con le parole, mentre pian piano le luci si concentrano sul tavolo stesso e si affievoliscono fino a far scendere il buio in sala.

Venendo agli aspetti tecnici, oltre alla bravura di tutti gli attori coinvolti, la cosa che colpisce di più di questo spettacolo è la trasposizione teatrale stessa dell’opera da parte di Marina Spreafico, che riesce a realizzarne una versione alquanto originale, introducendo l’elemento “varietà” con un pianista, balletti e canzoni “pungenti”, e con testi perfettamente in linea con i nostri tempi. Insomma, in linea con la meteorologia corrente, ve ne consiglio caldamente la visione…

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