Francesco De Gregori: artista, uomo e cittadino
E’ un lunedì di giugno, prologo di un’estate calda e strana; giorno successivo alla sbornia calcistica degli europei 2008 che ha decretato la sconfitta della squadra azzurra a favore dei diavoli di Spagna. Squilla il telefono: “Salve sono Francesco De Gregori come va?” “Bè non tanto bene, stavo riflettendo sulla deriva sportiva di questo paese. Sa una volta i calciatori si giudicavano dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia…”, “E si lo so, siamo tutti un po’ più tristi, ma che ci vuole fare…”.
Eccolo il principe vivente dei cantautori italiani, che ha da poco pubblicato il suo ultimo album Per brevità chiamato artista, quell’ “…artista che lavora con la materia che ha a disposizione e, nel mio caso, tale materia è rappresentata dalle parole, in grado di emozionare chi le ascolta”.
Da dove trae ispirazione il tuo ultimo lavoro?
L’album non nasce da un’ispirazione unica, tutte le canzoni sono nate in modo indipendente, ed hanno preso vita nel corso di un anno seguendo varie suggestioni. Forse il senso di quest’album è da ritrovarsi nel trascorrere del tempo che è il filo conduttore presente in alcune di queste canzoni. Il titolo poi la dice lunga sul fatto che è una sorta di biografia del mio essere un artista, un saltimbanco, un cantante o come mi si voglia definire; in questo senso è un disco autobiografico. Questa è semplicemente un’altra opera che va ad aggiungersi a quelle che ho fatto, come un pittore che aggiunge un nuovo quadro alla sua arte. Esso è molto diverso dai dischi precedenti anche se penso che abbia una certa complementarietà sia con il mio passato che con il futuro.
In una recente dichiarazione hai affermato che questo disco “è una specie di autobiografia fantasticata: c’è dentro qualcosa di narrativo, dei pezzi di vita ma anche delle visioni o delle ‘pre-visioni’.” Cosa intende per Pre-visioni?
Ad esempio “Carne Umana” può essere intesa come una canzone visionaria e pre-visionaria, nel senso che descrive una società crudele che possiamo vedere e vivere intorno a noi, in quanto elementi di crudeltà e di efferatezza li vediamo tutti i giorni sotto i nostri occhi, sia in Italia che all’estero. Pre-visioni perché il futuro sembra essere più burrascoso del presente, una sorta di visione preventiva che ci mette in guardia dai pericoli del futuro osservando le incertezze del presente.
Cosa descrivi ne “L’angelo di Lyon”?
Questa canzone non è mia, bensì è stata scritta da mio fratello, grande autore di canzoni che ha già scritto per me Il Bandito e il Campione. Essa è una canzone misteriosa, che tratta dei misteri dell’amore, il quale non dà certezze, fa vagare nel sogno irreale, ineffabile e misterioso.
Quasi 40 anni fa hai iniziato il tuo viaggio nel mondo dell’arte, in quel folk studio che ha contribuito alla nascita dei cantautori Romani. A tuo parere oggi vi è un luogo che offre l’opportunità ai nuovi artisti di farsi conoscere?
Attualmente vi sono molte più opportunità di quante ce ne fossero ai miei tempi. Intanto vi sono programmi televisivi come “Amici” o “X-Factor”, dove molti giovani hanno la possibilità di essere conosciuti e di imparare; se poi questo sia un bene o un male non spetta a me giudicare. Inoltre vi sono molti più locali adesso che al tempo del Folk Studio il quale conviveva soltanto con altri 2 o 3 posti adibiti alla musica dal vivo.
Segui la musica emergente? Qual è l’artista che ti ha colpito di più negli ultimi anni?
In generale io seguo poco la musica. Per correttezza non voglio fare alcun nome. Chiaramente mi piace la musica d’autore, quella più vicina alla mia visione artistica, amo di meno tutto il mondo legato all’Hip Hop, il quale non mi affascina per niente, non lo capisco, mi annoia e lo trovo un po’ falsotto. Semplicemente mi lascio trasportare dalla musica.
Quali sono stati gli incontri artistici che più hanno segnato la tua carriera?
Ne ho conosciuti tanti e mi stanno nel cuore tutti. L’ultimo in ordine cronologico è Zucchero, con il quale ho scritto anche alcune canzoni ed è una persona che ammiro e con cui sto molto bene insieme. Per quanto riguarda gli artisti del passato, potrei riferirmi a Lucio Dalla o ad Antonello Venditti, con il quale feci il mio primo disco più per necessita che per scelta, in quanto la nostra casa discografica non aveva abbastanza soldi per produrre due dischi autonomi. Li ricordo tutti con grande affetto.
Qual è, a tuo parere, la migliore canzone che hai scritto?
Vi sono delle canzoni che qualcuno identifica con il successo, come ad esempio la Donna Cannone o Rimmel o Il Bandito e il campione. Queste sono canzoni che mi hanno dato grandi soddisfazioni, mi diverto a cantarle, e che sicuramente farò nel corso dei concerti di questo tour. Però mi capita anche di amare pezzi meno baciati dal successo quali Santa Lucia o Capo D’Africa, che magari non rappresentano nulla per la maggior parte del pubblico, ma rappresentano dei passi importanti della mia carriera.
Il 30 giugno inauguri il tuo Tour a Capannelle dopo una serie di concerti invernali tenuti a teatro. Preferisce i concerti Teatrali o quelli all’aperto?
Non saprei. Nel corso del tour invernale, nei teatri, devo dire che mi sono molto divertito. Il teatro ha dei riti, delle atmosfere, dei profumi, dei colori (come il rosso delle poltrone), il camerino di un certo tipo; tutte queste cose hanno un loro fascino. Invece d’estate è anche giusto andare in posti dove si respira un po’ più di confusione, dove c’è gente che chiacchiera, passeggia, mangia. Amo entrambe le situazioni, sia il clima che ci sarà a Roma Rock in cui vi saranno persone che mi ascolteranno bevendosi una birra ma anche me situazioni che si creano a teatro, in cui se ci si vuole alzare dalla poltrona, arriva la maschera che ammonisce dicendo che bisogna stare seduti. Nella mia carriera ho amato tutti i posti in cui ho suonato, senza alcuna distinzione.
Quale è il segreto per stare al passo coi tempi e per risultare credibile agli occhi delle nuove generazioni?
Innanzitutto non so se sono al passo con i tempi, nè tantomeno credibile, soprattutto per le nuove generazioni…
Ma la poesia è senza tempo…
Io non c’entro niente con la poesia, io faccio il cantante. Forse il segreto è quello di essere se stessi, senza tentare di prendere in giro la gente ma semplicemente scrivendo canzoni sincere. Questo è tutto quello che ho tentato di fare in questi anni
e, in qualche modo, mi ha ripagato dell’affetto del pubblico.
Come ricordi il ’68? Cosa è rimasto di quella rivoluzione incompiuta e come hai vissuto la vicenda del sequestro al Pala Lido nel ‘76?
Questa domanda sarebbe interessante farla ai protagonisti di quel processo al Pala Lido, se dopo tanti anni si ricordano il perché. Come sarebbe interessante chiedere a quelli che hanno dato l’assalto a Luciano Lama all’università più che chiedere qualche chiarimento, se ancora fosse vivo, alla vittima di quell’episodio. Io ho una visione di quegli anni, come anni che fanno parte della mia vita, ho attraversato anche quei decenni. Ci sono state sia cose buone che meno buone, di cui ho goduto e di cui ho sofferto. Facciamo un appello a coloro i quali organizzarono quel processo. In questo modo loro potrebbero dirci i motivi per cui lo fecero.
Cosa ne pensi della decisione del sindaco Gianni Alemanno riguardo la sospensione della notte Bianca?
Non ne ho idea e non voglio dare giudizi politici su niente e su nessuno. Penso che la politica si basti e si avanzi da sola, quindi non voglio commentare le decisioni del Sindaco. È proprio lontanissimo dalla mia mentalità.
Con quali occhi Francesco De Gregori guarda l’Italia contemporanea?
Ci vivo dentro. La guardo come la guardano tutti, soprattutto con preoccupazione, in quanto viviamo in un paese che ha grossi problemi, come il resto del mondo. Siamo sull’orlo di grandi crisi economiche, energetiche ed ecologiche. Io cerco soltanto di tenere gli occhi aperti per vedere quello che succederà, sforzandomi di essere una parte consapevole e attiva. In altre parole cerco di essere un buon cittadino…
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