Pane_ Testamento
CD MUSICA- Da quando in Italia è finito il mercato nero e le ristrettezze del periodo bellico, non era mai successo che col pane ci facessero pure i dischi, ecco perché il vinile è finito in soffitta.
La gente riesce con un po’ di sforzo a non rimpiangere più quel plasticume forse proprio perché i repubblicani, forti della nuova Costituzione, dai tempi del boom non ci hanno fatto mancare il pane ed i giochi circensi, laddove per circensi si intendono quei caroselli che si consumano in parlamento quando crolla anticipatamente una legislatura e che ci fanno pensare: “E’ proprio vero, Tutta la dolcezza ai vermi!”.
Ma Pane, malgrado sia un progetto figlio dei tempi nuovi, vi consentirà non di affondare i denti in una tiepida focaccia di pasta bianca, ma di ascoltare la matura espressione di una musicalità segreta ma veritiera nel profondo, che vi indurrà a malinconie piuttosto gustose. Arpeggi rotondi dalla sonorità pensosa e partiture pianistiche trepidanti creano come l’attesa di fondo per un sasso nello stagno a cui solo può rispondere il volo d’un fringuello in un cielo di stoppa.
In Testamento gli accenti dolenti e dottamente sepolcrali lasciano affiorare la metafisica sotto forma di specchi e bandiere mentre le spoglie mortali d’un uomo impegnato vengono affidate a diversi spicchi dell’anima del mondo, operazione sostenuta da un flauto errabondo e sublime. L’incombente teatralità della voce sovrasta, senza prevaricarle, strutture armoniche incantate che le sicure percussioni certo non dissolvono. Interessante poi come si possa e si debba cercare di colmare una Distanza amorosa con il tubo dell’ acquedotto, ovvero con una costruzione destinata a diventare rudere. Termini Haus tradisce una sacrosanta ispirazione JethroTullistica che non si fa ammansire dal tepore mediterraneo, fatta salva l’eterea sospensione, seduta in mezzo al brano gravida di tonfi ansiosi, e dissipata poi dalla ripresa sfrenata della giga folk del clochard. Di passaggio, annoto che anche a chi scrive può venire da ridere per un Passo Lento, ma è uno sghignazzo amaro se la lentezza è la mia; quanto alle parole sconce forse perché superflue, è un cruccio che preferisco ignorare; temo infatti di dover dire: Tu non dici mai niente pensando a come quel niente distilli un tutto profondissimo, come finestre d’artista da cui escono il sole, il genio e la storia di fidanzati perduti, ahimè.
Anche la copertina vale a suggellare con pienezza simbolica il respiro ampio di un Progetto che insiste “di brutto” sul volume delle nostre vaghezze.
Il_7 su Progetto PanePane, martelive, martemagazine, musica, Recensione Principale