Voland. Qualità e traduzione
Quest’anno la fiera della piccola e media editoria ha scelto di vestirsi d’arancio. Un brusio quasi informe di curiosi e addetti ai lavori si aggira fra gli stand. Molto curati, come sempre con un’offerta molto varia. Tra questi la Voland. Ho visto la prima presentazione di un loro libro a una Festa dell’Unità a Ostiense, leggevano dei brani di un esordiente, all’epoca, Francesco Campora, era appena uscito “Il Dilettante”, sarà stato il 2003? Raccontava di un investigatore improvvisato, uno studente fuori corso e fuori fase, che si muoveva in una Roma labirintica che celava misteri e assassini.
Un giallo arancione insomma, di cui mi colpÏ qualcosa che rimandava al lungo tragitto del 19, mitico tram che attraversa un percorso fatto di più Rome, di tanti mondi, diverse realtà. Strano ricordare proprio un autore italiano che pubblica con Voland. Una casa editrice che nasce invece con un progetto che qualcuno oggi definirebbe “di nicchia”, e che ha dato vita a un’avventura ormai affermata nell’intricato panorama editoriale italiano. Un’esperienza dalla quale trarre pi˘ di uno spunto, su cos’è letteratura, su come si può diffondere cultura, su come si può prediligere la qualità sfidando il mercato.
Nelle parole di Daniela Di Sora, l’anima pulsante della Voland, per dirla con una frase fatta, traspare la forza di una passione mai tradita.
Voland è oggi una delle realtà più affermate nella piccola e media editoria. Come ha avuto origine il vostro progetto e quali sono state le tappe principali del vostro lavoro?
Sono contenta che lei la pensi in questo modo… A me sembra un miracolo la fedeltà dei lettori, e mi emoziono sempre quando alle fiere (come a Più libri più libri) sento qualcuno dire: andiamo allo stand Voland, sono bravi, fanno cose belle…
Voland ha avuto origine alla fine del 1994 da un mio desiderio (sono una slavista) e l’idea originale era quella di tradurre solo narrativa delle diverse letterature slave.
Naturalmente mi sono resa conto piuttosto presto che l’idea era impraticabile, e ho allargato gli orizzonti letterari cercando di mantenere alta la qualità delle opere proposte. Pian piano siamo passati dagli slavi all’Europa, e dall’Europa al mondo. Mantenendo una collana di soli slavi, “Sirin”. Un momento fondamentale è stato certamente la pubblicazione del primo romanzo di Amélie Nothomb, “Igiene dell’assassino”, nel 1997. Ormai ne abbiamo fatte 4 edizioni.
Un altro momento importante è stato quando abbiamo adottato la veste grafica attuale. Le nostre copertine sono curate da Alberto Lecaldano e sono davvero molto belle, e pur essendo sempre diverse (usiamo caratteri sempre diversi per il titolo e per il nome dell’autore, persino l’altezza delle due fasce di colore varia ogni volta) sono molto riconoscibili.
In un panorama editoriale sempre più complesso e articolato come si riesce a mantenere una linea che prediliga la qualità, anche nelle traduzioni?
La vera sfida oggi è proprio questa. Io credo che una casa editrice indipendente debba avere la funzione di scoprire autori bravi e magari famosissimi al loro paese, ma ancora sconosciuti in Italia. Ce ne sono molti, soprattutto in paesi le cui letterature non sono considerate “appetibili” dalla grande editoria: brasilinani, portoghesi, bulgari, romeni, polacchi… io ritengo che la curiosità sia una delle doti maggiori in un lettore, conoscere un paese attraverso la sua letteratura è una delle emozioni maggiori e conoscere vuol dire non avere pregiudizi. Se uno ha letto Mircea Cartarescu o Paul Goma, due straordinari scrittori romeni, come fa a pensare che tutti i romeni siano assassini e violentatori? E un grande autore ha bisogno di una buona traduzione. Io poi amo moltissimo tradurre, da anni non ho più il tempo di farlo ma mi rimane il rispetto per una buona traduzione perché so tutta la fatica che c’è dietro. E lo sdegno per una traduzione fatta male, tirata via.
Con quali criteri scegliete gli autori stranieri e com’è nato il “caso” Amélie Nothomb?
Il criterio inevitabilmente risente del gusto personale, non solo mio ma quello di una piccola schiera di collaboratori che sono con noi da tempo e che suggeriscono, segnalano, indicano. Io poi in genere dico, a chi scrive chiedendo se può mandare un curriculum, di non limitarsi a offrirsi come traduttore ma di proporre qualcosa, dopo aver magari preso visione del nostro catalogo. Questo nella convinzione che se ami e studi una letteratura, se ne parli la lingua, è assai probabile che tu ne conosca opere che a me sfuggono. Naturalmente l’ultima parola, l’ultimo giudizio sono i miei.
Il caso Amélie è nato appunto per caso. Un incontro con il suo primo libro sui banconi di una libreria francese, l’acquisto da lettrice e l’innamoramento a prima lettura. Poi il rapporto si è consolidato nel tempo, ma ci sono voluti 6 romanzi perché Amélie diventasse un fenomeno editoriale nel nostro paese. E in ogni caso lei è talmente speciale che non ho mai avuto dubbi: prima o poi se ne sarebbero accorti anche in Italia.
Si parla continuamente di crisi dell’editoria. E’ solo un fantasma o ci sono effettivamente delle difficoltà nella gestione di un’impresa editoriale?
Ci sono molte difficoltà nella gestione di un’impresa editoriale, la prima è la visibilità in libreria.Da una parte i librai sono soffocati dalle novità, dall’altra è certamente più semplice vendere Vespa o Biagi che Mikhail Shishkin. Un altro vero, grande problema è la mancanza di una legge sul libro, legge che esiste in quasi tutta Europa. E’ forse un discorso troppo tecnico da fare, ma basti sapere che le grandi catene di librerie o i supermercati possono chiedere agli editori lo sconto che vogliono, forti del fatto che noi non possiamo opporci in nessun modo. Se voglio essere venduto da Feltrinelli, da Mondadori, da Arion, devo accettare i loro prezzi. Le librerie e gli editori indipendenti sono schiacciati da questo meccanismo che, con il tempo, ne provocherà la scomparsa. A meno che non vi si ponga rimedio in fretta.
Mi viene in mente un altro grande problema: il mercato dei diritti è drogato dai prezzi che fanno i grandi per acquistare un autore. Sa che a Francoforte gli italiani hanno la fama di essere quelli che pagano di più? Naturalmente, non tutti gli editori italiani possono permettersi certi prezzi.
Quanto conta la specializzazione nel tentativo di ritagliarsi uno spazio preciso all’interno del “mondo dei libri”?
Conta molto, se per specializzazione si intende cura, qualità, riconoscibilità anche della veste grafica. Meno, secondo me, se si intende una mera specializzazione geografica. Molte case editrici “specializzate” hanno dovuto man mano allargare i confini,. Penso a E/O, ma anche a Iperborea, il cui Nord diventa sempre più vasto….