Ratti della Sabina @ Alpheus (Roma)
In mezzo alla sudata folla saltellante mi sembra di intravedere una cresta multicolore, una maglia dei Rancid, un numero consistente di trecce dread in movimento, uno stivale di pelle e… anche una ridottissima gonna di jeans. Un mix di personaggi provenienti da innumerevoli realtà culturali metropolitane, senza distinzione di genere musicale preferito, stile personale o abitudini alimentari.
Ci troviamo all’Alpheus di Roma, il calendario dice che siamo già arrivati al 7 dicembre, ma la sala è talmente affollata che, stremata dal caldo, per attimo penso di trovarmi sotto il sole delle Maldive. Sul palco si esibiscono i Ratti della Sabina, gruppo che si muove nell’ambito della scena romana da ormai un decennio e che prima di tornare in studio per la registrazione di un nuovo album di inediti, raccoglie ancora una volta gli applausi del pubblico, inebriato dal successo dell’ultimo lavoro, “Sotto il cielo del tendone”.
Coinvolgenti, intensi, divertenti: i Ratti, come sempre, utilizzano il “pretesto” dell’esibizione live per rafforzare il legame con il pubblico, proponendo una miscela di venature rock condite da una buona dose di contaminazioni folk, o combat-folk come affermano in tanti. Bandabardò e Modena City Ramblers sono forse i punti di riferimento principali all’interno di questi spettacoli.
Mischiare la tradizione popolare, pura e semplice, con la potenza delle chitarre elettriche, è un’impresa che non sempre riesce. I Ratti invece lo sanno fare benissimo, perché associano a queste due matrici musicali, con estrema disinvoltura e senza forzature, un’autentica ricerca di storie di vita, impegno sociale ed elementi onirici.
“Ballata di acqua e terra”, “Chi arriva prima aspetta”, “Fra le braccia della luna” si susseguono a ritmo serrato, lasciando come consuetudine un certo spazio all’improvvisazione. Gli animi si riscaldano, il pogo sotto il palco si fa frenetico e uscire dalla sala diventa quasi impossibile. La musica sembra creare un vortice, un movimento centripeto che fa convergere i volti, le mani, i passi, verso un unico punto. Ben due ore di musica senza pause, un semplice ma caloroso saluto e poi tutti sotto le casse a ballare, sulle note del caro Capossela e della Bandabardò, secondo l’ormai nota tradizione dell’Alpheus.
federica.cardia@martelive.it