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”Il Feticcio e’ un feticcio”

[PER QUEL CHE VALE]

E non so se interrogare le carte o rivolgermi all’amico Clouseau, nel dilemma se il feticcio sia arte oppure no…” Non potevano che essere queste le parole scelte per questa puntata di Marte Magazine. Parole di Sergio Caputo, tratte da Non bevo più tequila, tratta da Storie di whisky andati. Chissà cosa direbbe Clouseau su questo dilemma: c’è arte nel feticcio? La mia risposta è: dipende dal feticcio. Per feticismo s’intendono mille cose, che spaziano peraltro dalla religione alla pornografia.

Ma non c’è dubbio che questa sede è più adatta a trattare la forma più bella di feticismo, una forma strana, a metà strada tra idolatria e collezionismo. Il disco può essere un feticcio, specie se è il disco di un nostro idolo, specie se autografato, specie se è una versione in spagnolo, specie se ha un errore di colori in copertina (cosa che lo rende vieppiù unico), specie se è legato a un qualche momento, ricordo, ecc. È insomma la celebrazione dell’oggetto. L’assurgere di esso al rango di idolo.
Ma più chiaro di me nella spiegazione potrebbe essere un altro artista le cui parole mi tornano utili circa l’argomento di questa settimana: sto parlando di Stefano Capobianco, ottimo chitarrista di jazz beneventano, tra i migliori allievi usciti fuori dal celebre Siena jazz, musicista in grado di spaziare dal blues al latin con un occhio attentissimo e un bagaglio sostanzioso circa la canzone d’autore. Lui più d’ogni altro simboleggia la questione in questione, tanto da guadagnarsi tra amici e colleghi l’appellativo di “Feticcio”, talvolta di “Il feticcio”, quando passa dalle nostre parti perfino di “Er feticcio”. Lui ci metterebbe un attimo a spiegare cos’è il feticismo e, magari, saprebbe anche rispondere al dilemma caputiano di cui sopra. Proprio parlando di Caputo, provate a recarvi nella dimora senese del Capobianco e troverete un manifesto del buon Sergione autografato, con tanto di biglietti del concerto appesi e piccola foto in basso, insomma un piccolo altarino fetish così come ognuno di noi ha avuto o ha: chi non ha mai conservato il biglietto del suo live preferito, chi non ha mai esposto una foto autografa del suo idolo? Ma il Capobianco è decisamente oltre, e questo è un esempio del suo essere feticcio: Caputo non è il suo idolo. Voglio dire, profondissima stima, ma forse non il numero uno (provo a indovinare: il suo numero uno è Pat Metheny). Di conseguenza a tutti noi piace pensare (e in parte è così), che “il feticcio” conservi ognuno di questi oggetti con religioso ordine e maniacale cura, talvolta con tanto di plastica antipolvere. Sì, le bustine di plastica con cui si conservano i dischi rari alle fiere del collezionismo o nei negozi di dischi alla Nick Hornby. Lo scarto col resto del mondo è che “il feticcio” sarebbe in grado di “imbustare” anche il mio libro appena regalatogli anzi, e sono parole testuali, non sa se “imbustarlo o mettergli la copertina di plastica intorno per evitare che si formino le orecchie agli angoli”!
Dicevo, lui, il Capobianco saprebbe certo risolvere il dilemma caputiano con una delle sue massime che credo di avergli sentito dire tante volte: “Il feticcio è un feticcio”. E, badate bene, non trattasi di tautologia. Trattasi viceversa di un linguaggio tutto nostro (mio e del Capobianco) affinatosi col tempo fino a divenire quasi il nostro modo di comunicazione abituale. Nella nostra lingua “feticcio” esce persino dalla materia, dal concreto, per diventare spesso e volentieri sostantivo astratto che indica bellezza, grandezza, qualcosa di molto positivo, insomma. Ad esempio, tornando a bomba ancora su Caputo, il giorno in cui mi è capitato di essere ospite in un suo concerto e al Capobianco è capitato di intervistarlo alla radio (in un divertente scambio di ruoli tra me e Capobianco, diventato anche giornalista radiofonico), è stato da noi denominato “giorno del feticcio maximo”. Ma può essere un feticcio anche una bella mangiata o una bella bevuta, persino un attore o un’attrice, ci si può “infeticciare” non appena si riceve una bella notizia o quando ci si appassiona a un qualcosa, e via discorrendo.
Diventa ora più semplice, cari lettori, capire la frase “Il feticcio è un feticcio”. Parafrasando potrebbe voler dire “feticcio è bello”, ovvero che il feticcio, inteso come oggetto feticcio, è bello, ovvero infeticciante, ovvero feticcio. Chiaro no?
Se poi sia arte o meno chiedetelo all’amico Clouseau.

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