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Brahem, Holland e Surman all’Auditorium

Roma, Auditorium Parco della musica 3 dicembre 2007
L’idea di far incontrare jazz e musica classica araba poteva sembrare un affascinante azzardo: per quanto potenzialmente ricche, è facile che misture del genere si risolvano in trascurabili esercizi di stile, tanto eleganti quanto superficiali, ideali per sottofondi patinati. Insomma è un’idea che deve passare per le menti e le mani giuste.


Così è stato nel caso del concerto di lunedì scorso all’Auditorium, che vedeva in scena tre fuoriclasse del calibro di Anouar Brahem (oud), Dave Holland (contrabbasso) e John Surman (fiati). Guidati da Brahem, i tre avevano dato vita dieci anni fa al progetto sfociato nell’album Thimar, pubblicato dalla benemerita ECM nel 1998. Dai brani di quel disco nasce il repertorio del concerto.

Oltre alle influenze geografiche e culturali, ad emergere è innanzitutto la maestria virtuosistica dei tre interpreti. Ognuno di loro conquista ampi spazi solistici che non appesantiscono mai le composizioni, ed è un gioco che l’ascoltatore accetta di buon grado, vista la fama d’improvvisatori di cui godono i musicisti.

Il baricentro del gioco è Dave Holland. Posto fisicamente al centro della scena, il contrabbassista britannico mostra tutto il carisma di cui è capace, dettando i ritmi e ritagliandosi suggestivi assoli – ed è il primo a strappare applausi. John Surman, pingue e baffuto sassofonista, porta una carica di simpatia fisica che quasi stride con l’intensità struggente del suo strumento. Brahem, tutto vestito di nero, è una presenza discreta e autorevole. Ogni tanto, preso dalla forza dei brani, sussurra una melodia.

 Il suono del suo liuto evoca scenari orientali fatti di ombra, silenzio e canicola, e restituisce emozioni profonde, come sempre succede quando una grande tradizione rivive nelle mani di un artista – al contempo attento e spregiudicato – quale Anouar Brahem.
Un concerto intenso e raffinato, con una sottile tinta di mistero notturno.

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