Abbandonati alle rughe del tempo
[STREAP-TEASE: FUMETTI MESSI A NUDO]
Dai tempi di Uno, nessuno e centomila di Pirandello non ho più avuto lo stesso rapporto con gli specchi. Personalmente considero una falsità scientifica sostenere che riflettano fedelmente la realtà, perché il punto è che non restituiscono mai l’immagine che più conta per ciascuno di noi: quella che vive nella nostra mente.
Osservandoci in uno specchio saremo sempre più stempiati o più stanchi, più vecchi e qualche volta addirittura più affascinanti di quel che pensiamo. Capita anche di vedersi più giovani, raramente a dire il vero, come succede ad Emilio, il protagonista della novella di Paco Roca, Rughe.
Emilio si guarda nel riflesso dello specchio in bagno mentre si rade per andare come di consueto sul posto di lavoro, in banca. Ma Emilio non lavora più da molto tempo, ha settantadue anni, e quello che crede di vedere sono echi del passato che iniziano a sovrapporsi sempre più frequentemente agli istanti di vita del presente. E’ una conseguenza dell’Alzheimer, che comincia a manifestarsi deteriorando la memoria a breve termine, per cui ciò che appare più vivido nella testa sono i ricordi lontani. Non è dunque colpa di Emilio se continua a trattare i suoi familiari come clienti in cerca di prestiti e se diventa ogni giorno più insofferente e recalcitrante, ma la soluzione ideale, o forse solo più comoda, è accompagnarlo in una confortevole casa per anziani, dove (estranei) si prenderanno cura di lui. Per il maturo ex direttore di banca è come tornare a scuola, stavolta non per imparare come si sta al mondo, ma quale posto, nel mondo, deve occupare chi per sopraggiunti limiti d’età non ha più diritto ad essere considerato parte della cittadinanza attiva. Nel microcosmo della casa di riposo tante altre vite si incrociano con quella del distinto Emilio: la signora Sole sempre in cerca di un telefono, Giovanni che ripete tutto quello che ascolta, Stefano che è cieco e Agostino sordo come una campana; ognuno è arrivato qui da un sentiero diverso, ma il futuro che hanno davanti, breve a voler essere cinici, appare miseramente uguale per tutti loro: questo è il mondo al contrario, dice ad un certo punto Michele, il truffaldino compagno di stanza, il mondo dove il tempo che c’è tra i pasti è tempo perso, dove si vegeta guardando una televisione che non interessa a nessuno finché non è ora di un altro pasto o di dormire. E il tempo, si sa, è un nemico imbattibile, specie se spalleggiato da una malattia vigliacca che dopo la memoria attacca anche il corpo fino a renderti dipendente dagli altri anche per mangiare e vestirti. Quando anche il conforto dei familiari è assente, le visite una tantum sono solo un pegno da pagare alla coscienza, l’unico scopo a cui aggrapparsi è quello di non peggiorare a tal punto da essere spostati al secondo piano, che ospita i casi più gravi, il vicolo cieco in cui malattia e follia si confondono.
Il racconto di Paco Roca, autore spagnolo che ha già firmato altre apprezzabili opere a fumetti, prende spunto dalle testimonianze di amici e dalle visite ad alcune cliniche, esperienze che gli hanno permesso di portare sulla carta le vicende di Emilio e compagni in maniera non artefatta. Roca è magistrale nel ritrarre la piccola comunità di anziani e le differenti manifestazioni della malattia di ciascuno, senza ricorrere in eccessivi sentimentalismi o tentativi di suscitare pietà. E’ sorprendente semmai come il tono delle vicende sia divertente, per merito appunto della gran varietà dei personaggi di contorno, o a tratti frizzante nelle scene in cui la coppia formata da Emilio e Michele ricorda due assi del cinema come Jack Lemmon e Walter Matthau. Merito anche della visione cinematografica che l’artista applica alle tavole, scegliendo sempre l’inquadratura migliore per rappresentare un’azione o un dialogo, anche a costo di ripetere la stessa sequenza variando solo piccoli dettagli, se questo serve a scandire l’impercettibile trascorrere delle ore, o a fissare per più vignette le scarpe del protagonista, assumendo il suo punto di vista, con la testa china, davanti ad una cattiva notizia.
Lo stile grafico è sempre sobrio, non muta il tratto o la colorazione neppure in presenza di flashback o sogni, licenza artistica in cui indulge di solito la maggior parte dei disegnatori, e dunque è ancora più immediata la partecipazione alla storia. Una nota speciale la merita la splendida copertina realizzata per l’edizione italiana della Tunuè, un disegno a doppia anta che acquista ulteriori significati se ammirato di nuovo al termine della lettura.
Rughe ha ottenuto svariati premi e riconoscimenti in Spagna e in Francia e non è passato sotto silenzio neppure in Italia, dove oltre ad essere stato insignito del Premio Gran Guinigi a Lucca nel 2008, è stato promosso dalla casa editrice di Latina attraverso una serie di incontri nei circoli didattici o per anziani. Un’ iniziativa dal doppio valore in un paese, il nostro, accusato dalle statistiche di essere troppo vecchio, come se questo fosse sempre e solo una colpa e la memoria dei suoi abitanti più anziani un difetto da correggere o negare. Come le rughe che ci sorridono dallo specchio.
Diego Ciorra
Diego Ciorra, Fumetti, martelive, martemagazine, Paco Roca, Rubrica Streap-tease: fumetit messi a nudo, Rughe