Le bugie del coyote, l’assenzio e la birretta
[IL_7 SU…]
Se Sebastian Contrario dovesse fare il bastian contrario opponendosi ai principi esposti in questa recensione, dovrebbe mettersi di buzzo storto a far musica cattiva lasciando però in-tendere di farlo solo per partito preso, invece sembra che si siano impuntati a suonare un indie rock col sarcasmo tra i denti, pronto a lanciarsi all’arrembaggio di ricche platee composte da gente che ha reazioni pronte, perché ha sangue che scorre nelle vene, non latte e menta.
Certo non si può far solfeggi a dispetto dei santi, quindi se il mercato e il momento politico inducono ad apprezzare le scariche adrenaliniche di pezzi che scaricano elettricità tanto quanto lei ci urta i nervi, bisogna assecondare il trend. “Odio l’estate perché mi mette malinconia e l’inverno poi non passa mai. Morte stagioni si alternano come i miei umori, ma di miele diventa la noia quando tu sei con me… Non esser più gelosa ormai amore, non esser più curiosa per me“, io ho un andamento punkeggiante e famelico come un coyote (“Nella noia”). “L’ottavo giorno” è inizial-mente attonito, imperniato su una goccia che scava la sua tortura nella testa di un uomo roso dal dubbio, poi questi si accorge di essere in mezzo al mare sbattuto da una tempesta, col capitano che sta per abbandonare la barca fregandosene dell’equipaggio, e allora non è più questione di una goccia, si spalanca l’orribile certezza che c’è chi ci sfrutta per portare avanti la barca e poi ci abbandona sul più brutto. Qui la chitarra si ricava anche uno spazio quasi solistico, e comunque l’atmosfera è corrusca quanto basta, il cantato esprime fierezza e l’insieme a partire dalla ritmica è compatto “Pregate figli miei, perché prima o poi qualcuno vi salverà” ed anche, in una diversa scena/strofa: “Prega bambina mia, perché prima o poi io ti riscatterò” da quell’uomo da cui ti ho portato e che ora ti sta fissando con quello sguardo osceno. Ci saremmo augurati però uno svi-luppo più esteso ed un tratto ancora più personale.
FAS inizia “Why won’t you” con uno smanettìo ipnotico e un po’ allucinato su cui si aggancia il ritmo e prosegue con voce e chitarra che si compenetrano vibranti poi si placa ma subito riprende questa vigorosa escalation fatta di avventurose progressioni spezzettate al canto, flashes su cui il rock-grunge dei FAS continua ad affastellare la sua energia irradiandola come da un ripetitore satellitare “disturbato” dalle immagini di Lei. “In silenzio” è un pezzo dotato di un’atmosfera che vede il capovolgersi annacquato dalla pioggia di tutte quelle sensazioni che ci hanno resi incom-prensibili alle nonnette: “Piovevano bugie, bruciavano le storie, gli album dei ricordi che non erano i miei. Cadevano le foglie, ed era un letto di spine ed io sognavo un sogno scritto solo per me… Lontano da un passato, da un dolore che in fondo non ascolto più, dalle promesse svanite, dai sorrisi sbagliati, dalle strade segnate che non svoltano mai…” Un discorso che andrebbe pronunciato al G8 in nome di tutti gli broken-hearted, proprio perchè acchiappa tutto ma mantiene il riserbo sui particolari! La chitarra ciondola rimpianti e poi li sgrulla, e le parti vocali compren-dono anche echi dolenti. “Mi consuma piano” è un altro episodio intenso utile a esporre l’arpeggio di chitarra elettrica ed a domare i pensieri folli che riempiono le giornate vuote facendoci riflettere sui motivi per cui si alzano le tonalità sparando le proprie verità sul palco facendo l’alba dove “la vita scorre intorno a me, non era questo che immaginavi fosse crescere“!
Dr.Hyde con “Bamboo” imbucano una stecca di rock in un involto psichedelico dalle sfumature esotiche come se volessero usarlo come custodia per la loro energia, mentre con “In the dark” affondano le note in un lavatoio gotico pieno di caramello al veleno in cui la voce rifulge come in una clessidra fatta di specchi d’ossidiana. In “Lay down” una disposizione più olimpica sembra prevalere, e quando il brano si apre, è per una vitalistica irruzione dello sguardo negli spazi ampi del cielo, dove il turchese si coniuga col cristallino dell’occhio sancendo un’unione di libertà. Come vogliono farci consumare le nostre riserve di suggestioni, i Dr.Hyde? Inseguendo la loro ispirazione tra le due polarità di una personalità complessa gonfia di suggestioni e di mistero, o forse si destreggiano con consapevolezza creativa tra le emozioni umane ricercando con schietto slancio la nostra partecipazione? Forse la seconda che ho detto, anche se il riferimento al clas-sico di R. L. Stevenson e all’assenzio, simbolo della prima incarnazione di questo gruppo, auto-rizzano a ritenere che i toni oscuri del pensiero, espressi con classe, facciano parte del patri-monio espressivo della band insieme al piano, la cui presenza adombra un classicismo di fondo che dà profondità alle trame sonore. In rotazione su diverse web radio, i Dr.Hyde sviluppano un discorso melodico che li avvolge di lirismo, ma la ricerca psichedelica e l’incandescenza del grun-ge sono affrontati con un approccio molto diretto, che fa a meno di eccessivi fronzoli, ma non di testi in inglese ben calibrati.
I Made Out sono gli esecutori, ben piantati sulle gambe, di un blues che cerca acclamazioni da parte di gente che sa stare sulla strada oltre che da quelli che sanno amare e che sanno suonare. La chitarra sbrodola giù ricchi rotoli di ghirigori anni ’60 e la voce declama con grande entusiasmo, magari un po’ “di testa”, che “It’s only love” quello che accompagna lungo le piste più ripide, e può essere anche amore per una pineta o per un cane pastore. “Hold your fire” è una raccomandazione mai superflua per chi esposto alle intemperie della vita e rischia di buttarsi un po’ giù fino al punto di rotolarsi nella cuccia con la zampotta a comprirsi il muso. La batteria assicura un drumming costante, non esagitato, ma misurato sui classici del genere, ed il basso è presente e puntuale; pare che questi due intrattengano i rockettari più affamati, ai live, con robusti botta e risposta. Prima che si convertano ad un repertorio tutto italiano (“Dammi da bere”), una volta o l’altra questo Bryan Adams bisognerà pure invitarlo a Roma a prendersi una birretta in compagnia di questi “Hearts on fire” capaci di citare anche “Smoke on the water” nel brano per far capire quanto siano al di sopra delle mode. Facciamo al ConteStaccio? Ok, andata!
Il_7 (Marco Settembre)
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