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Letteratura a ritmo di Blues

evakent
[L’ILLETTERATA]

evakentL’esperienza della Fiera della piccola e media editoria di Roma, Più Libri Più Liberi, mi ha visto come una pazza invasata in giro per gli stand alla ricerca di qualcosa che neanche io sapevo più che cosa essere. Un’idea, una novità, un po’ di considerazione per la mia rubrica e la voglia di ritrovare quell’ambiente a metà strada tra la Biblioteca comunale e la libreria popolare.
Ed è stato in questo mio girovagare niente affatto distratto che mi sono imbattuta in una piccola casa editrice di Roma, che ha una grande verve e parecchi volumi interessanti.


Il primo che mi è stato affidato è di un giovane scrittore emiliano, Giuseppe Sofo, alla sua seconda prova letteraria (con la prima Dollville, ha goduto di una segnalazione al Premio Campiello Giovani), il libro, una raccolta di tre racconti nati e cresciuti in America, tra le sue strade e sotto il suo cielo, a volte anche con la sua lingua, e sempre comunque al ritmo della sua musica, si intitola Qui lo chiamano Blues e sin dalla prima pagina è stato amore a prima vista…

La musica è il fondamento sul quale si articola tutto il discorso: la trama della storia raccontata, l’amore, la gioia e il dolore, tutto in questi racconti parla a ritmo di musica, è musica, respira aria intrisa di musica. E’ l’atmosfera musicale che regna sovrana: dalle canzoni di Bob Dylan, che fanno nascere la storia di Washington ti spoglia dolcemente, al blues e al jazz che popolano Qui la chiamano lullaby e che diventano portatori di vita e di significato in un’America sognata, tutto è un abile tentativo di fare l’amore con l’America in un viaggio letterario e musicale che non scade mai nel banale o nel ripetitivo.
E’ un’America diversa quella che ci racconta Sofo, a tratti cinematografica (mi ricorda le atmosfere ovattate e crude dei film degli anni ’50, pieni di fumo, belle pupe e musica), a tratti tremendamente urbana, a tratti disponibile, ma mai fredda e distaccata.
Nel suo raccontare le città Sofo ci fa camminare per strade vere, ma dipinte di elementi nuovi, di un’atmosfera tendente al noir, in cui la notte e il silenzio sono molto più presenti della luce e del rumore. In cui la presenza umana diventa un corollario della forte presenza dell’essenza delle città che ci presenta.
Ne parla come se fossero donne da amare. Le descrive come amori insoluti. O dissoluti. Tutto nella prosa di Sofo ci lascia intendere la vita che permea le città, il sentimento ribelle che le circonfonde di un’aurea quasi magica o mitica, ma sempre molto umana. Per dirla a parole sue:
Hai fianchi larghi lei, quando la sfiori. E curve infinite.
Cammina lei, non corre mai. E tu di fianco.
[…] Non potresti lasciarla nemmeno se volessi, perché ti inchioda al suo sguardo. E’ una donna di classe che a Dupont Circle diventa un po’ bagascia, la mia città
”.
In ogni caso l’istinto che produce è vederla con quegli occhi l’America, sempre così agognata perché meta lontana e mitizzata sin dalla notte dei tempi, sfiorarla con quelle mani, e sentirla vivere così come la descrive lui.
Allora “Mi metto in viaggio, ancora una volta su una strada, verso qualche punto sulla mappa. Sotto il cielo che, sopra l’America, è enorme” e poco importa se il viaggio che faremo noi lettori sarà di pura fantasia: la letteratura è vita che cammina tra le pagine stampate con l’inchiostro, no?

Giuseppe Sofo, Qui lo chiamano blues, Azimut, pag 94, € 7.90
www.azimutlibri.com; www.azimutlibri.splinder.com

(evakent.74@gmail.com)

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