Opera y Flamenco @ Auditorium Parco della Musica di Roma
Ensemble dell’Orchestra d’Opera di Barcellona e del gruppo flamenco “El Duende”
Le luci si sono spente e la chitarra flamenca ha cominciato a suonare le sue note pizzicate. Silenzio in sala. Ogni brusio si è spento con le luci. La gente incuriosita ha cominciato ad osservare attentamente la scena. Ed io con loro dal mio posto privilegiato in terza fila.La chitarra ha assolto da subito la sua funzione di richiamo per gli altri strumenti: chitarra classica, violino soprano, violino basso, violoncello e pianoforte, e tutto ha avuto inizio in un crescendo emozionante di melodie e percussioni.
Si è cominciato con un Flamenco Zambra, uno dei “palos” (stili) della tradizione. Ne esistono più di 50 di stili, anche se alcuni di questi sono eseguiti molto raramente, e sono classificati seguendo i criteri musicali di ritmo, tonalità e melodia. Il modello ritmico del “palo” con il numero di battiti e l’accentazione è chiamato “compás”. All’interno di una rappresentazione tipica di flamenco il chitarrista suona degli assoli melodici (falsetas) intervallati a dei momenti in cui predispone un “tappeto sonoro” (compàs) per il cantante. Quest’ultimo intona delle “letras” (strofe), mentre quando il ballerino esegue un assolo di battito di piedi (zapateado) si dice che sta eseguendo una “escobilla”.
Tutto è proseguito poi con alternanze tra partiture di musica lirica tratte da La Tabernera del Puerto, dalla Carmen, da Il Trovatore, da El Gato Montès e da canzoni tradizionali spagnole come la famosissima Granada e altri palos flamenchi (tangos tientos, bulerìa e seguidilla) eseguiti magistralmente dalla chitarra di Juan Cortès e dalla voce magicamente gitana di Sara Flores. Menzione a parte spetta ovviamente ai due bailaorinos: Katia Moro e Ivàn Alcalà che con le loro movenze a tratti lente e sinuose a tratti rapsodiche e con una velocità ritmica davvero sconcertante, hanno reso viva la storia d’amore e seduzione narrata in questa mezcla musicale dalle voci meravigliose della mezzosoprano Griselda Ramòn e del tenore Oscar Marin.
Lo spettacolo- rivelazione è stato in programmazione ininterrotta dal 2004 nel prestigioso Teatre Poliorama di Barcellona per giungere ora in Italia, in un’unica data, proprio a Roma, nella location della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica. Un evento davvero cult per gli appassionati del genere e non solo, con coreografie ricche e sensuali, brani celebri e molto amati della lirica internazionale, appassionanti musiche gitane e abiti veramente sorprendenti nei loro colori sgargianti e nei loro svolazzi ammiccanti.
Di suo il Flamenco nasce nell’Andalusia, fortemente influenzato dal popolo nomade dei Gitani, e dalla cultura musicale di Mori ed Ebrei, i cui influssi si lasciano intuire, senza ombra di dubbio alcuno, anche dai profani. Le grida di richiamo che la cantante rivolge ai bailaorinos, le movenze delle braccia (braceo) e delle mani, il battito ritmico dei piedi (zapateo) e anche i tipici movimenti del bacino delineano il ricordo di danze orientaleggianti, così come il tocco ritmico delle mani alternato a tecniche “strusciate”, ricorda elementi musicali primordiali mai sopiti.
Il fascino seducente della serata è davvero esploso in un crescendo coinvolgente, quasi a trascinare il pubblico sul palco in un enorme cerchio intento ad ascoltare ed apprezzare lo sforzo degli artisti, rivolti anima e cuore alla musica e alla danza. Interessante e, secondo me anche ben riuscita, la contaminazione tra generi, e cioè tra lirica e cante flamenco: si pensa spesso che l’essenza del flamenco sia la danza, mentre in realtà l’anima del flamenco è il canto, senza musica (a palo seco), perchè chitarra e danza si sono aggiunte solo in seguito. I cantanti o “cantaores” hanno in comune con i cantanti lirici la stessa intensità di esecuzione e l’estrema profondità delle emozioni cantate, così come la cura tecnica e l’estensione vocale e/o tonale, ma in più hanno quel “graffiato” che manca alla precisione esecutiva estremamente pulita del canto lirico.
Avrei voluto che la serata non finisse mai, incantata com’ero dai ritmi, dalle melodie, dalle danze e dagli abiti. Avrei voluto che quei “pezzi” in più offerti dagli artisti, quei bis richiesti a gran voce dal battito ininterrotto delle mani del pubblico, fossero solo l’inizio della serata, perché quel che è certo è che il flamenco, come la danza del ventre o, per restare in casa, la taranta italiana, aprono l’anima all’esplorazione di paesaggi interiori che non sono altro che l’espressione pura e semplice dell’essere, del suo istinto di seduzione e conquista e della sua innata ricerca dell’altro. Una danza d’amore, quindi, al ritmo incalzante di un cuore innamorato che batte senza fermarsi mai…
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