Enrico Maria Artale: il futuro in mano
Una società opprimente, sempre di più, che arriva a controllare le singole persone in ogni istante della loro vita, in ogni loro gesto. Anche il più intimo e il più naturale, come il fare pipì. Fino a che la misura diventa colma, anche per chi ha passato tutta la propria esistenza a piegare sempre la testa.
Parte da qui l’idea di Hai in mano il tuo futuro, cortometraggio vincitore della Sezione Cinema del MArteLive 2011: un’opera di Enrico Maria Artale, ventisettenne regista che sta ricevendo molti riconoscimenti per i suoi lavori, molto prolifico con già un altro progetto pronto. Abbiamo la fortuna di intervistarlo per conoscerlo e farlo conoscere meglio al pubblico.
Iniziamo sul come è nata l’idea di questo cortometraggio, e soprattutto come mai hai pensato proprio all’azione dell’urinare come metafora per esprimere il controllo della società verso l’individuo?
Lo spunto è a suo modo autobiografico. Diciamo che ho vissuto una situazione estremamente simile a quella in cui si trova il protagonista; non si tratta quindi di una metafora voluta, perché sono partito da un’esperienza specifica, concreta, da un sentimento di imbarazzo che mi era rimasto impresso nella memoria. E poi ho cercato di portare il tutto alle estreme conseguenze.
Hai vinto diversi premi con questo cortometraggio e anche con altri come Il respiro dell’arco, che ti permetterà a marzo di andare a Los Angeles per un master di due settimane negli studios, cosa ti aspetti da questa esperienza in America?
Direi che mi aspetto uno shock, in senso positivo. Sono anni che sento parlare dell’industria cinematografica americana, di cui alla fine si dice un po’ tutto e il contrario di tutto, ed è chiaro che uno ha non solo delle aspettative, ma anche una sorta di pregiudizio. Ecco, mi piacerebbe che questo complesso di cose fosse disatteso dal mio viaggio. E spero soprattutto di trovare una buona ragione per doverci tornare, un domani; questo cortometraggio sta avendo un grande successo negli Stati Uniti, più che in ogni altro paese: soltanto ad Aprile sarà presentato in quattro festival molto importanti, e mi auguro che tutto questo possa avere una qualche conseguenza.
Come è nata l’idea, a livello proprio di prima intenzione, per questo Hai in mano il tuo futuro? Più in generale, invece, come nascono le idee dei tuoi lavori?
In questo come in altri casi lo spunto iniziale è stato autobiografico. Non ho fatto abbastanza lavori per poterne fare una statistica, ma le mie idee partono sempre in modo molto personale; o, appunto, da un’esperienza autobiografica, o comunque da un’esigenza emotiva forte, quasi uno sfogo (è il caso de Il respiro dell’arco). Ma ci ho messo del tempo per capire che queste sono le uniche fonti di ispirazione di cui posso fidarmi fino in fondo.
Nei tuoi primi due lavori ti sei avvalso di collaborazioni per la sceneggiatura, mentre negli ultimi due no. Ti senti più pronto, magari sicuro, oggi nello scrivere un film?
Faccio un attimo di chiarezza: Il respiro dell’arco l’ho scritto da solo, così come il mio primo corto, Allegro Compreso. Per tutto il resto ho lavorato con diversi sceneggiatori, anche e soprattutto sulle due sceneggiature di lungometraggio; in generale il problema non è tanto la sicurezza, o la padronanza tecnica, quanto la capacità di approfondire i personaggi sulla base di un’esperienza di vita in qualche modo limitata: ho ventisette anni, e a volte non è semplice entrare nella testa di un uomo o di una donna che ne ha quarantacinque.
Parlando più di te, come nasce la passione per il cinema, quali “miti” hai avuto crescendo (attori, registi, film) e quando hai deciso di voler fare questo lavoro?
Se dovessi dare una risposta romantica direi su un letto di ospedale, a sedici anni, quando per la prima volta mi sono trovato ad avere molto tempo per riflettere. Ma non è del tutto vero: un conto sono i sogni o le ambizioni, un conto le decisioni ragionate, che si prendono di volta in volta, alla luce delle soddisfazioni (anche intime, segrete). Certo l’amore per il cinema me lo porto dietro da tempo: da molto piccolo stravedevo per i film con Bud Spencer e Terrence Hill, li sapevo a memoria; poi c’è stata una prima evoluzione quando ho iniziato a registrarmi su VHS tutti i film di Sergio Leone, avrò avuto quattordici anni. Un film che in quegli anni mi ha segnato tantissimo è stato I pugni in tasca, non saprei neanche spiegare perché. E lì è iniziato il periodo in cui guardavo tantissimi film, anche dieci a settimana, al cinema Filmstudio, soprattutto il cinema noir. All’università invece ero più riflessivo, c’è stato Kiarostami, i fratelli Dardenne, e soprattutto Bergman, che continuo a considerare il più grande regista di tutti i tempi. Anche se oggi, tentando di fare cinema io stesso, mi sono riavvicinato a quella fascinazione iniziale. Poco tempo fa, in occasione di un omaggio ad un grande sceneggiatore recentemente scomparso, ho avuto modo di rivedere qualche scena di Altrimenti ci arrabbiamo. E mi sono divertito come la prima volta.
Hai avuto difficoltà per iniziare? E’ dura entrare in questo mondo? Cosa consiglieresti a un ragazzo che voglia intraprendere la tua stessa strada?
La domanda mi fa sorridere perché sembra posta a qualcuno che in qualche modo è già arrivato, entrato in un determinato mondo, ottenuto i propri obiettivi. E non è così. Io mi reputo sicuramente fortunato, almeno fino ad ora. Credo tutto sommato di aver raccolto il giusto, rispetto a quanto ho seminato, e so per certo che in questo settore non è la norma: diversi ragazzi che conosco avrebbero meritato più occasioni di quelle che gli sono state offerte. Le difficoltà di questo mondo sono senza dubbio legate alla sua chiusura autoreferenziale da un lato, dall’altro all’inflazionamento di certe aspirazioni professionali, nella mia generazione. A chi volesse iniziare direi di interrogarsi, onestamente, sull’origine e l’intensità della propria passione.
Finiamo con i programmi per il futuro: progetti concreti e non? Cosa hai in cantiere e cosa hai nella testa che però non hai ancora messo nemmeno in chiaro dentro di te? Hai intenzione prima o poi di cimentarti in un lungometraggio e, se si, quando credi possa accadere e cosa pensi non ti abbia ancora fatto intraprendere questa scelta?
Il progetto futuro adesso è uno solo, il lungometraggio di cui ho appena ultimato la sceneggiatura, e che dovrei iniziare a girare entro pochi mesi. Come dicono sempre gli atleti, “adesso devo concentrarmi solo sul prossimo impegno”. Ed è vero, anche se poi inevitabilmente i progetti sono tanti e molto diversi tra loro. Al di là della piccola avventura americana, ultimamente penso spesso all’ipotesi di lavorare all’estero. Non tanto, o non soltanto, come via di fuga da un paese in cui gli spazi per i giovani sono eccessivamente ridotti, ma anche perché fatico a considerare il mio immaginario spontaneo, e quindi me stesso, in una possibile dialettica con il nostro cinema, con la nostra società. E temo di non essere il solo.
Ringraziando Enrico Maria per la sua disponibilità, gli auguriamo il meglio per il suo futuro. Quello immediato, ovviamente, senza andare già oltre il prossimo impegno…
Alan Di Forte
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