Le donne viste da Dehaes
ROMA- Un grappolo di par attaccato su di un lato del proscenio della Sala Petrassi nuda e nera. E’ così che ci accoglie l’Auditorium Parco della Musica lo scorso 16 febbraio per l’ennesimo appuntamento del Festival Equilibrio, festival della nuova danza.
A salire sul palco questa volta la performance del coreografo belga Ugo Dehaes, classe 1977, spiccatamente influenzato dal filone belga che è nato con e intorno a Anne Teresa De Keersmaeker. E in effetti dalla sua biografia spicca la frequentazione al P.A.R.T.S., la scuola bruxellese per danzatori e coreografi diretta proprio dalla coreografa belga. Minimalismo ed essenzialità sono le parole chiave della nuova produzione di Dehaes intitolata Women che si avvale della collaborazione di otto interpreti donne. Otto rappresentanti del genere femminile dai 30 ai 50 anni dai tratti somatici, fisici e dalla presenza scenica molto eterogenea. Donne coperte da semplici vestitini neri attillati e morbidi, che non nascondevano le forme del corpo, ma le evidenziavano, le rivendicavano, mettendo in mostra corpi più magri, corpi più torniti, e anche corpi più segnati dall’età e dalla maternità. Anche i loro visi erano, non camuffati da trucchi pesanti o volgari, ma erano velati da trucco leggero o quasi inesistente, che metteva in risalto le rughe e le imperfezioni, la naturalezza dei loro visi. L’impatto coreografico nell’incipit della coreografia è forte e divertente. Le donne di Dehaes si spostano nello spazio con movimenti precisi ed energici, accompagnandosi con il loro respiro e con altri suoni sempre emessi da loro.
Si cercano e si ascoltano per distaccarsi o per creare all’unisono. C’è la donna asiatica magrissima e giovane, la donna rasata dai tratti mascolini, la donna nord-europea più anziana con il corpo appesantito dall’età, la giovane trentenne dai tratti del sud con il fisico muscoloso e super allenato, e via dicendo. La performance continua senza musica, e continua con lo stesso schema. Il ritmo è dato dalla respirazione a volte più veloce, altre volte più lenta, ma i movimenti sono sempre abbastanza violenti, più vicini ad una lotta. Le sfumature sono poche, o c’è immobilismo totale o c’è velocità, sono movimenti che si avvicinano alla rabbia e alla frustrazione, che, soprattutto in certi fisici e certe personalità di donne presenti sul palco, a volte stonano, sembrano appiccicati e non veramente sentiti. La cosa che mi ha alquanto disturbato però è stata la monotonia del pezzo. Il giovane coreografo belga è partito da un idea abbastanza carina, ma non l’ha sviluppata. Al contrario l’ha continuamente ripetuta. In 60 minuti di spettacolo, siamo stati spettatori dello stesso schema di movimento – “musica”. Ma soprattutto, non è riuscito a sfruttare l’occasione di caratterizzare il pezzo in base al materiale umano così vario e interessante che aveva a disposizione. Un peccato, anche perché le 8 performer avevano qualità fisiche ed emozionali molto forti.
Un’occasione veramente sprecata!
Valeria Loprieno
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