Livia Tedeschi e la teoria della Cattività
Chi non ha avuto modo di apprezzare Livia Tedeschi e le sue creazioni nell’ultima rassegna del MArteLive, ha l’imperativo morale di redimersi e trovare il modo di apprezzare dal vivo le sue sculture.
Il suo è un vero e proprio procedimento di creazione: plasmare forme dal nulla, aggiungendo, come dice lei, senza togliere niente alla natura, ma regalandole altre colorate e sinuose forme. Diplomata all’Accademia di Parigi ha – grazie proprio alla sua tesi – sviluppato una particolare visione degli animali in cattività. E’ proprio questo, come ci spiegherà, il filo rosso delle sue opere, il nesso capace di spiegare come siffatte creature hanno potuto vedere la luce.
La prima domanda mi sembra quasi d’obbligo. Come è stato partecipare a MArteLive? Cosa ha significato vincerlo?
Una sorpresa, non me l’aspettavo. Una bella sorpresa. Posso dire che i pezzi sono stati apprezzati, che il messaggio – in un certo senso – è passato, anche se per molti è stato semplicemente quello della bellezza delle creazioni.
Questa vittoria ti ha portato qualcosa, qualche cambiamento nella tua vita?
Sicuramente moltissimi contatti. Persone che erano presenti alle serate mi hanno contattato, ad esempio pittori che vogliono ritrarre le mie opere.
Ci racconti il momento in cui ti è venuta questa grandiosa idea, in cui ti sei detta “questo è quello che voglio creare”?
Nel 2006 mi sono diplomata in Accademia a Parigi, e la tesi consisteva nel creare una mostra, e il mio tema era quello della cattività. Nel visitare il Tunnel delle Estinzioni, sempre a Parigi, e nel trovarmi in quel suo ambiente scuro e suggestivo, in mezzo a tutte queste specie estinte, ho pensato che riprodurre questo effetto, nel rendere l’animale, solitamente chiuso in gabbia, composto di quello stesso materiale, fosse qualcosa di interessante. Anche un animale che nasce in cattività è diverso da qualsiasi altro esemplare cresciuto in natura. Il mio obiettivo è riprodurre il più fedelmente possibile la forma dell’animale, perché è l’unica cosa che ne rimane: le persone che vanno allo zoo non si recano lì per l’animale in sé, per conoscere quell’esemplare, ma semplicemente per guardarlo, scattargli una fotografia…
Allarghiamo – per un attimo – il discorso. Come ti sei immersa nella scultura?
Io provengo dall’illustrazione, dalla pittura. Al mio ultimo anno ho fatto una serie di quadri, ma sentivo che non era abbastanza, non mi bastava. In Accademia, a Parigi, ho provato un corso basilare di scultura, ma non è lì che ho cominciato. In garage, con l’esigenza di reperire materiali a basso costo, ho rimediato queste reti, che ho iniziato a plasmare, dando forma al Gorilla, che è la mia prima creazione. Non ho inventato nulla, comunque. Hai presenti i carri – ad esempio – creati per il Carnevale? Quelli hanno la stessa struttura.
Naturalmente ho apportato diverse modifiche, dettate dall’esigenza di riempire più o meno il vuoto che viene a crearsi all’interno delle mie sculture, a seconda di quanto voglio rendere la sensazione di pienezza, di densità.
Hai impegni futuri? Dove possiamo trovarti prossimamente?
Quasi sicuramente nella prossima rassegna prevista a Salerno, in Primavera. Poi, nelle serate del MArteLive ho conosciuto tantissime persone, come ad esempio un regista che sta pensando di inserire i miei animali nelle proprie riprese. Sicuramente mi interessa collaborare con altri artisti.
Luca Barbon
artigianato, Intervista, Livia Tedeschi, Luca Barbon, martelive 2011, martemagazine