Una ben oliata “Trappola per Topi”
MILANO- Era il 25 novembre 1952 quando Trappola per topi debuttò al New Ambassadors Theatre, nel West End, la Broadway londinese. Da allora sono passati sessant’anni e pur se in un teatro diverso da quello degli esordi, lo spettacolo, scritto dall’indiscussa signora del giallo, Agatha Christie, è ancora in scena a Londra, con immutato successo.
Roba (letteralmente) da Guinness: non a caso la pièce è entrata nel libro dei record nel 2008! Ma di certo questo non è il suo unico record: tratto da un racconto della Christie di appena 68 pagine (Tre topolini ciechi, N.d.R.), lo spettacolo è stato tradotto in 24 lingue e messo in scena in 45 Paesi. Un successo tale da lasciare incredula la sua stessa autrice, che cercava di giustificarlo affermando che «è il tipo di commedia alla quale si può portare chiunque. Non è proprio un dramma, non è proprio uno spettacolo dell’orrore, non è proprio una commedia brillante, ma ha qualcosa di tutte e tre e così accontenta la gente dai gusti più disparati». Ed è proprio con questo classico che la Compagnia Attori&Tecnici ha deciso di cimentarsi quest’anno, in un tour che l’ha vista in scena al Teatro Carcano di Milano fino al 4 dicembre.
La storia è ambientata negli anni ’50, poco lontano da Londra, in una vecchia casa inglese dove due giovani coniugi Mollie (Claudia Crisafio) e Giles Ralston (Stefano Messina, che cura anche la regia dello spettacolo) hanno da poco avviato una locanda, ribattezzata Monkswell. Purtroppo per loro, ma per fortuna dello spettatore, i primi ospiti dei coniugi Ralston sono alquanto particolari: c’è il giovane ed estroverso architetto Christopher (un applauditissimo Carlo Lizzani); l’anziana e petulante signora Boyle (Annalisa Di Nola), la tormentata signorina Casewell (Elisa Di Eusanio); l’accomodante maggiore Metcalf (Roberto Della Casa); e infine l’enigmatico signor Paravicini (un ottimo Stefano Altieri), uno strano vecchietto che si comporta in modo molto teatrale e che sembra appena uscito da uno spettacolo di varietà.
Gli immancabili battibecchi tra un’umanità così varia e variopinta cessano quando squilla il telefono e la polizia avverte la signora Ralston dell’arrivo del sergente Trotter (Massimiliano Franciosa), incaricato di vegliare sul gruppo: a Monkswell si cela infatti l’assassino di una donna, nonché un’altra probabile vittima. Da questo momento in poi la suspence aumenta di dialogo in dialogo, dato che tutti i protagonisti in scena sembrano nascondere qualcosa che potrebbe renderli sia vittime che carnefici: ed è propria quest’ambiguità a rendere così coinvolgente lo spettacolo.
Come evidenziato precedentemente, infatti, la storia intessuta dalla Christie è una miscela perfetta di generi diversi: la commedia, il dramma e il thriller. A questo mix, va aggiunta la triste atmosfera del dopoguerra in cui è ambientata la narrazione, atmosfera che porta a dubitare anche delle persone più care, visto che l’uragano del secondo conflitto mondiale ha fatto perdere qualsiasi traccia delle proprie radici.
Per portare in scena uno spettacolo teatrale degno di questo nome, non basta però un buon testo e Stefano Messina, che cura la regia, dimostra di aver capito la lezione: resosi conto che qualsiasi cambiamento avrebbe affievolito l’impatto delle vicende narrate, ha optato per una regia rispettosa del testo, evitando quei “modernismi” fuori luogo a cui spesso tocca assistere in alcuni allestimenti di testi classici, che, a mio avviso, in quanto tali, andrebbero rispettati (soprattutto se non si hanno idee in grado di migliorare il risultato finale). Diretta conseguenza delle scelte di regia, sono le scenografie: curate da Alessandro Chiti, puntano sul legno, riproducendo perfettamente l’interno di un salotto inglese dei primi del ‘900, con un realismo che coinvolge anche i più piccoli dettagli, come i fiocchi di neve fuori dalla finestra o la radio da cui i protagonisti ascoltano la musica o le ultime notizie. A completare il quadro provvedono i costumi di Isabella Rizza, le luci di Emiliano Baldini e le musiche di Pino Cangialosi, che consentono di portare in scena una perfetta (e fredda) atmosfera invernale post-bellica.
Per quanto riguarda il cast, al pari dei personaggi in scena, è vario e spazia da attori giovani e meno esperti ad attori meno giovani, ma di indubbia caratura: il risultato finale però, riesce ad essere superiore alla somma delle parti, dato che l’incontro tra le diverse professionalità in scena regala al pubblico un mix ad alto tasso di godibilità, con personaggi, come quella dell’affettato signor Paravicini o dello svampito Christopher, che spiccano su tutti gli altri, come dimostrano gli applausi finali.
Insomma, uno spettacolo che è (nomen omen) una trappola perfetta per catturare l’attenzione del pubblico in sala, soprattutto di chi non ha mai letto il racconto da cui è tratto. E per chi già l’ha letto? Beh, si accontenti di vedere in scena le vicende su cui ha fantasticato, ma soprattutto … acqua in bocca sull’assassino!
Christian Auricchio
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