Silvia Faieta, gli opposti creano completezza
Il nero del vestito accoglie la capigliatura fluente e morbida, il trucco marcato degli occhi sembra delineare un primo disegno sul viso di Silvia Faieta, bianchissimo come quello di una dama settecentesca.
L’incontro con quest’artista srotola dal principio una linea nera che parte dai suoi occhi e si esprime completamente sui suoi quadri. In un confine tra l’immaginario e il rappresentativo, Silvia Faieta incastra nel nero la sua ricerca artistica e racconta la sua personale The Black Line, conclusasi il 25 giugno.
Questa è la tua prima esposizione personale?
No, la mia prima personale si è svolta ad Aprilia, il titolo era Labirinti dell’anima. Il titolo della performance live del vernissage di Black Line ha avuto lo stesso titolo della mia passata mostra, questo indica una continuità nel mio percorso.
La galleria d’arte Come se di San Lorenzo, Roma, sembra la cornice adatta ai tuoi ultimi lavori artistici. È stata indubbiamente una scelta accorta della tua curatrice Luciana Cameli.
Sì, essendo oltre che una galleria d’arte anche uno spazio dedicato all’architettura questa può codificare al meglio gli spazi della mia anima.
Sfere, doppi. Cosa cerchi di esprimere nei tuoi quadri dalla simbologia complessa e ricercata?
Quello che hai notato sono le mie ricerche alchemiche, il doppio serve a raggiungere un equilibrio interiore. Ogni mio quadro ha un doppio. Il bianco ed il nero sono opposti e capisaldi, riescono a creare completezza. C’è una costante che è la linea di demarcazione, da cui appunto il titolo della mostra: The Black Line, una linea che demarca per congiungere.
Questa tua ricerca filosofica, che ha radici nei simboli alchemici, non ha molti legami con i tuoi studi di ingegneria.
Il mio interesse all’alchimia e ai suoi significati dipende dalla mia famiglia. Io vivo immersa nei numeri, con questi ho un rapporto ancestrale e cerco i mezzi per capire il livello più alto del mio rapporto con questa simbologia, ma si tratta di una simbologia costante nella nostra vita, anche chi non ha propriamente i mezzi riesce a cogliere un senso alto perché ci sono in ognuno di noi dei rimandi generazionali.
Elimini il colore, perché?
Dare colorazione al mio pensiero non è possibile. Io rappresento tutto in nero che assorbe il bianco e lo riflette. Scelgo le sintesi dei colori.
Nei tuoi lavori ci sono dei richiami a Escher, che viene definito l’artista matematico.
In realtà io ho scoperto solo dopo e grazie ad altri, che me lo facevano notare le comunanze con Escher, che confesso di non aver avuto presente in nessun modo all’inizio della mia produzione artistica. Uno degli artisti che più mi ha influenzato è stato Bosh, in particolar modo il Giardino delle delizie. Osservando Bosch, ho abbandonato il colore, può sembrare un controsenso, visto che Bosh usa il colore, ma ho capito grazie a lui quale fosse la mia ricerca e quali i miei strumenti. Ovviamente, conoscendo Escher ho imparato ad apprezzare anche lui. La poetica di Escher è fondamentalmente diversa, si tratta di uno studioso che scandagliava la bellezza della geometria, io uso la geometria come mezzo di analisi dell’uomo. Uso poi le strutture e gli ambienti della mia anima per esprimermi a livello artistico.
Quale corrente artistica più vicina nel tempo senti più vicina?
In assoluto il Surrealismo.
Nel Surrealismo la componente immaginifica è molto forte, la rottura dei legami classici la trasformazione delle figure umane, tutto è stravolto. Come in un sogno. Anche nei miei lavori il rapporto con l’onirico è fortemente percepibile.
Quali sono i tuoi strumenti?
Le carte da acquerello, che sono carte molto delicate,non nate per il disegno a penna e poi la Staedtler.
La classica penna biro nera e gialla?
Sì, solo con questa marca e con questo inchiostro riesco a creare delle sfumature che gli altri inchiostri non hanno.
I tuoi progetti futuri?
Vorrei realizzare una mostra in cui rappresentare tutti i miei amici artisti, una rappresentazione che sia palese e non, con dei ritratti simbolici delle raffigurazioni solo di mani ad esempio dove il ritratto sia codificato e in chiave simbolica. Raffigurerei così le tracce che lasciano gli artisti a me contemporanei nella mia anima.
Rossana Calbi
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