4:48 Psychosis
[TEATRALMENTE]
La Casa Internazionale delle Donne ha ospitato per due sere dal 29 luglio la Compagnia Fourfoureigth con lo spettacolo 4:48 Psychosis, l’ultimo testo della playwrigth inglese Sarah Kane morta suicida nel 1999. La regia di Valentina Calvani dirige Elena Arvigo nella traduzione di Sara Nativi.
Troppo facile definire il monologo come il testamento della Kane prima di abbandonare la vita e la depressione, anche se molta critica l’ha già fatto. Il testo è un insieme frammentato, un salto nella mente di una protagonista che alle 4:48 si suiciderà. “Malata depressa” è l’etichetta che medici e conoscenti le hanno appiccicato ora con compassione, ora con fastidio.
Ossessivamente quelle parole ritornano nel fiume di un linguaggio scarno, violento, rabbioso, tenero e volgare. C’è tutto l’essere umano nell’interpretazione della Arvigo, un animale in gabbia sulla scena drammaticamente completata da un riuscito accostamento di luci (Arvigo-Calvani) e musiche (composizioni originali di Susanna Stivali) a ricostruire l’intimo di una mente che incontra l’abisso, o l’ultimo volo. Punti di vista, come recita un brano del testo: “Non sono depressa perché non capisco. Proprio perché capisco tutto sono malata”.
Sul palco un paesaggio simbolico fatto di frammenti di specchio sparsi in terra, un orologio, delle carte da gioco, boule per l’estrazione dei numeri della lotteria. Troneggia una sedia trasparente e tutto richiama la nudità di un’anima nella sua ora più vera.
Lo spettatore non è rassicurato da contesti sociali o spiegazioni freudiane di alcun tipo, il testo lo abbandona di fronte ad una situazione estrema fatta di disperazione e black humour, come nella lettura surreale della cartella clinica dopo il ricovero volontario in una clinica psichiatrica.
Sono informazioni che vanno via via precisandosi all’interno di un discorso onirico procedente per salti e curve improvvise. L’interpretazione riesce a riprodurre ora l’automatismo spento del linguaggio di un’anima consumata, ora una trasporto sofferto generato dalla frattura tra anima e corpo. E poi c’è l’amore, anzi la sua mancanza, che viene gridata in uno dei momenti più toccanti “Vaffanculo perché mi rifiuti non essendoci mai!”.
Elena Arvigo è semplicemente bravissima, perché non interpreta il testo, ma lo diventa.
Francesca Paolini
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