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Sognando Cechov

MILANO- Il 29 gennaio 1860 nasceva nella cittadina russa di Taganrog Anton Pavlovic Cechov: 150 anni dopo, in occasione dell’anniversario della sua nascita, Daniele Finzi Pasca, grande estimatore dell’opera dello scrittore e drammaturgo russo, porta in scena al Piccolo Teatro di Milano Donka, uno spettacolo che deve molto alle esperienze maturate con i suoi precedenti successi internazionali.


Finzi Pasca, infatti è l’ autore di spettacoli indimenticabili come il Cirque Eloise e il Cirque du Soleil. Stavolta però il suo lavoro, pur basandosi sulla stessa matrice creativa, che mescola insieme danza, giocoleria e clowneria, è tematizzato e porta in scena attimi della vita del drammaturgo russo, delle sue opere, dei suoi personaggi. Fin dal titolo, si palesa tale tematizzazione: il donka, infatti, in russo, è un piccolo sonaglio che si appende alla canna da Immy4pesca e che suona quando un pesce abbocca; strumento che non doveva essere estraneo a Cechov, noto per la sua passione per la pesca che rappresentava per lui una forma di abbandono e meditazione.
Partendo da questa immagine, Finzi Pasca allestisce uno spettacolo a forte impatto visivo, con imponenti scenografie e infiniti cambi, che consentono di articolare un percorso fatto di quadri, in ognuno dei quali si propone un mondo o uno scorcio cechoviano. L’obiettivo è chiaro: parlare dell’ autore de Il Gabbiano attraverso i dettagli.
Vanno così in scena, ad esempio, clown tristi vestiti di un candido bianco che giocano tra loro in veste di attori, incarnando figure dell’immaginario cechoviano: prima fra tutti la pattinatrice sul ghiaccio che propone una affascinante performance che si sviluppa in uno scivolante tip tap. Ma i mezzi per rapire l’attenzione del pubblico sono molteplici, in primis acrobazie e proiezioni su teli. In particolare, risulta molto affascinante e di forte impatto tutta la parte che vede protagoniste assolute le ombre cinesi: con un’abile e calcolata composizione, che opera una rottura dei canoni di proporzionalità, si riesce a portare in scena e far interagire tra loro figure gigantesche e minuscole. In sottofondo l’immancabile suono dei donka, che delimita il sottile confine tra il tempo dell’attesa e l’arrivo del pesce, una sorta di metafora sulla creatività, sul lavoro e sui tempi dell’artista.

Non manca (e non sarebbe potuto mancare) il tema della morte, che richiama alla malattia polmonare che ha consumato la vita di Cechov. Ecco dunque l’ospedale, le suore, i petali di Immy1ciliegio, chiaro richiamo alle macchioline di sangue della tisi, ma anche il simbolo della vita che evapora, della sua transitorietà così simile  alla bellezza di un ciliegio fiorito che dura pochi giorni. Alla fine i petali vengono rimossi, come per far le pulizie, ma c’è un clown triste e decadente che non si rassegna e si ostina a disseminarne altri.
Nonostante il tema, la malattia viene però trattata con quella sottile ironia, tipica del mondo clownesco, un mondo che non si prende troppo sul serio, capace anche di ironizzare su se stesso, come quando, verso la fine dello spettacolo, uno dei protagonisti si chiede quante persone in sala abbiano capito quanto andato in scena fino a quel momento.
E in realtà la domanda è meno peregrina di quanto possa sembrare.
E’ innegabile, infatti, che una piecè di questo tipo, tutta incentrata su citazioni e richiami alla vita e all’opera cechoviana, possa risultare di non facile comprensione per chi, come molti, conosce Immy5poco o nulla quel mondo. Questa impostazione determina, inevitabilmente, piani di lettura dello spettacolo cangianti da spettatore a spettatore: il neofita cechoviano, infatti, apprezzerà soprattutto i virtuosismi degli artisti del teatro Sunil, impeccabili in acrobazie, clownerie, canto ed  accompagnamento musicale; l’esperto, invece, tenderà a focalizzarsi sui richiami alla vita e alle opere cechoviane. Chi è a metà del guado, invece, una volta  calato il sipario, non potrà che essere consapevole di non aver capito molte citazioni; consapevolezza che nei più curiosi potrebbe tramutarsi in uno stimolo ad approfondire la propria conoscenza del mondo (reale e letterario) del dottor Cechov.
Insomma, uno spettacolo poliedrico da diversi punti di vista, comico e poetico, che può affascinare, ma anche annoiare, complice un’eccessiva ricercatezza estetica che alla lunga (lo spettacolo dura 2 ore) potrebbe stancare, soprattutto lo spettatore che predilige il recitato alla sublimazione dell’arte circense.

Christian Auricchio

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