Filippo Morera: xBProject
Lo scorso 13 aprile il Teatro Palladuim di Roma ha ospitato numeroatomico82, uno spettacolo multiartistico presentato dall’associazione culturale Traslochi ad Arte, che dal 2008 – anno del primo evento proposto – porta in giro l’arte in tutte le sue forme condividendola in luoghi sempre diversi.
Tra gli artisti sul palco gli xBProject di Filippo Morera, che hanno proposto un concerto-performance arricchito dalle videoinstallazioni del cantante e dalle coreografie del collettivo biviensemble. Noi abbiamo fatto due chiacchiere con Filippo…
Chi è Filippo Morera? Perché fa musica?
Un ossessivo maniaco della perfezione, puntiglioso e spesso saccente. Mi dico però, forse per convincermene, che con il tempo ho imparato a canalizzare le mie manie con profitto, riuscendo a dare continuità e futuro a tante idee strampalate iniziate senza coscienza e finite per essere progetti concreti e, spero, anche ben riusciti. La musica è uno di questi percorsi che, come altri prima di me, ho iniziato con l’ingenuità e la spontaneità di ragazzo, trasformandolo con il tempo in un vero e proprio canale di sfogo nel quale trovo le mie migliori occasioni d’espressione.
Come sono nati e chi sono gli xBProject? Cosa vogliono dire al pubblico?
Anche gli xBProject sono il risultato delle influenze raccolte in un lungo percorso di maturazione artistica segnata dai molteplici distacchi, ma anche dai continui e folgoranti incontri. Oggi collaborano con me Augusto Castelli, Gilberto Cipriani, Fulvia Dilettuso, Edoardo Petretti aggiungendo al progetto la loro personalissima interpretazione di Vite a Consumo. Insieme raccontiamo la storia dell’individuo moderno, afflitto dalla sua stessa modernità fatta di necessità indotte e alienata da desideri inutili e irraggiungibili.
Parliamo di Vite a consumo. Mi racconti com’è nato? Qual è la traccia alla quale sei più affezionato? Perché?
Avevo già scritto e prodotto “Libera la mente” e “Continui sentieri” quando ho iniziato a riconoscere nelle trame delle parole una sottile linea comune. Da lì a poco ho preso coscienza di come ci fosse un’esigenza personale di raccontare la mia realtà sociale, non riconoscendomi in un’epoca così intrisa e votata al consumo. Ho approfondito tecniche e tecnologie. Ho recuperato suoni, melodie, video e concetti dalla stessa Società dello spettacolo che volevo raccontare. Li ho fusi in un unico grande blocco narrativo e ho creato così l’epopea dell’individuo moderno vestita d’immagini e di armonie. Alla fine di tutto questo processo, “Continui sentieri” che aveva ispirato i primi passi del progetto, è rimasta la più sentita e appassionata rappresentazione del mio modo di concepire la musica.
Pensi che l’arte possa aiutare le persone a ricercare un senso nel flusso della vita e dei pensieri che sembrano sfuggire da ogni parte?
L’arte e l’artista hanno il compito di indagare e di rappresentare la realtà scandagliando gli abissi sociali ed emotivi dell’individuo. Si offre così allo spettatore un occhio disincantato sui suoi tempi e sulle sue perversioni, aprendo nuove prospettive e occasioni di riflessione. È difficile dire se tutto questo possa indicare un significato o una soluzione alle esistenze di tutti noi, di certo è il regalo che l’arte può fare alle coscienze e alla collettività: una direzione dove cercare, se ne esiste uno, il proprio personale senso delle cose.
Nelle tue esibizioni la musica è solo una delle componenti in scena. Quanto c’è di performance e quanto di concerto nei tuoi spettacoli? Da cosa nasce l’idea della commistione tra le arti?
Il punto di partenza di tutto il processo creativo, in termini artistici, è sicuramente la musica. È nodale quindi che l’anima dello spettacolo abbia il giusto rilievo e che possa acquisire lo spessore delle performance live dei musicisti e degli interpreti. Questo però non basta, perché il messaggio possa essere veicolato a un livello narrativo ottimale. È qui che il concerto diventa spettacolo, quando viene stratificato con i diversi linguaggi offerti dalle diverse discipline artistiche, capaci di arrivare nel modo più efficace sia allo spettatore più ruvido che a quello più sofisticato.
Anche a Traslochi ad Arte hai proposto uno spettacolo simile?
Se pure gli xBProject già avevano dimostrato una grande sensibilità per la fusione e la commistione di generi, è solo con la collaborazione con Traslochi ad Arte che questa idea di fondo trova la sua massima espressione. Abbiamo iniziato a lavorare insieme già dal 2009, sviluppando progetti sempre più ambiziosi e articolati. Nel 2010 abbiamo portato in scena spettacoli temerari in spazi di tutto rilievo, cito tra i tanti 7 vizi capitali al Circolo degli Artisti. Da pochissimo abbiamo presentato al Palladium, grazie anche al patrocinio della Provincia, numeroatomico82, un intero spettacolo musicato dagli xBproject e arricchito, nel perfetto stile del collettivo, con video proiezioni, danza, teatro, pittura. Per il futuro, mi aspetto che la collaborazione continui e che ci porti a osare ancora di più.
Ti definiresti più un cantautore, un performer o entrambi? Perché?
Mi sento più di ogni altra cosa un autore. Se pure emozionante, non trovo esaltazione nell’esibizione in sé. La necessità è la comunicazione efficace. Lo scopo è lo spettacolo nella sua prospettiva più ampia e nel suo organico. Questo significa prima di tutto creare del buon materiale, ma poi scegliere con cura ogni elemento, dalle soluzioni tecniche agli interpreti che avranno il compito di rendere al meglio quella narrazione. Per questo la collaborazione con Traslochi ad Arte ha dato i frutti migliori. Partendo da un’idea condivisa lavoriamo per disegnare e mettere in scena spettacoli multiartistici avvalendoci delle competenze che il collettivo stesso offre.
Ascoltando Vite a consumo sono rimasta colpita dall’incisiva chiarezza delle parole. Evviva gli italiani che scrivono in italiano. Come nascono i tuoi testi?
Anch’io sono un fan della lingua italiana, se pur avrebbe un senso divulgativo, la traduzione del testo è oggi una pura operazione commerciale. “Le parole sono importanti” e ne ho sempre pesato molto il significato. Ho poi imparato a gustarne la melodia e la metrica e così, lentamente, a incastonarle con la musica. Ci sono momenti in cui è la parola stessa a cercarmi, altri in cui sono io a inseguirla. Un testo può nascere spontaneo da una frase sentita per caso, ma anche dopo tonnellate di strofe scritte e cancellate alla ricerca di una fluidità musicale.
Chiara Macchiarulo
Foto di Federico Ugolini
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