Diario di un Vizio, regia di M. Ferreri
CINEMA- “-Roma. Giornata: buona. Palpitazioni. Temperatura ore 15:00. 32. Capelli: male.”
Ispirato al ritrovamento di un bizzarro diario personale, nel corso della ristrutturazione di un vecchio appartamento a Roma, Diario di un Vizio é la cronaca dettagliata di un dramma personale.
Benito, degno erede del celebre Zeno, che attraverso il suo logorroico flusso di ‘coscienza’ ci descrive in ogni particolare espletazioni corporee d’ogni genere, meticolose annotazioni di tristi pasti solitari adagiati in vaschette d’alluminio, sigarette fumate/acquistate e palpitazioni cardiache regolari e non. Egli si riduce a sintetizzare all’osso le sue brevissime annotazioni, sottolineando la futilità di quei gesti ripetuti così meccanicamente, ogni giorno, nel tentativo di monitorare e regolare la vita con il disperato obiettivo di darle un senso; caratteristica della quale rimane, nonostante l’impegno che ci si metta, palesemente sprovvista. O forse Benito (Jerry Calà) é semplicemente costretto a metterne a fuoco le azioni basilari, seppur utilizzando punti di riferimento orientativi, per non cedere al sogno; per non sottostare a quell’assurdità profondamente radicata all’effimero atto del vivere. Così comune a tutti.
Non é pronto ed é per questo che Benito attende continuamente un momento ben preciso che giungerà, prima o poi, a donare una svolta improvvisa a quella sua piatta monotonia. A questo perenne tira e molla con Luigia (Sabrina Ferilli), infedele compagna di sempre che, una sequenza prima afferma di amarlo, e in quella dopo già fugge via su una macchina di lusso in compagnia dell’ennesimo spasimante.
Qual é il significato di una così vasta gamma di personaggi femminili (di diverse età, di diverse fisicità, di diversa mentalità) che ricorrono per l’intero svolgimento filmico?
E la costante presenza di prostitute incinte, cosa starà a significare? Che il mondo sarà sicuramente un posto peggiore domani: pieno di ‘figli di buona donna’? A Benito questo non riguarda, perché Benito é inconciliabile con l’assurdità del mondo e la svolta tanto agognata, non sarà nient’altro che la malattia: non sarà nient’altro che la morte.
Luca Vecchi
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