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Nel Nome del Padre, regia di M. Bellocchio

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nel_nome_del_padreCINEMA- Lo scenario si apre su di un collegio cattolico degli anni ’50. Una nuova recluta (Yves Beneyton)  sorprende, con i suoi atteggiamenti,  sia l’intero corpo studentesco che quello docenti. Egli é straordinariamente silente, imperturbabile e stranamente conformista per quanto concerne il regolamento interno all’istituto.

Tuttavia si tratta solo di una calma superficiale apparente che nasconde delle ideologie insolite per un semplice ventenne; ideologie molto affini al super-uomo nietzschiano; una controideologia che rischia di minare dalle fondamenta un sistema comprovato come come quello di formazione collegiale cattolico.
La contestualizzazione di Marco Bellocchio é subito chiara fin dal principio: divise, aule che ricordano stanzoni sterili da manicomio dei primi del novecento, corpo docenti che sembra provenire direttamente dagli anni buii del medioevo, subito identificabile tramite gli atteggiamenti ed il vestiario.

1958. Il modello cattolico sembra vacillare (“metodi da medioevo…”); esso non é oramai più conciliabile con la neo-concezione di società moderna ed industrializzata (“…ora sei libera. Vai in fabbrica!”, “un giorno il mondo sarà pieno di automi…”), la morte di Pio XII viene interpretata come un segno ed una giustificazione plausibile a riguardo. Finisce un’era, ma la chiesa continua imperterrita sulla sua strada di sempre, quella che batte oramai da migliaia di anni.
L’autore, tuttavia, anche se d’ideologia fortemente laica (concezione che lo accompagna, in un nel_nome_del_padre3certo senso, nell’arco di tutta la sua produzione) non condanna del tutto la fede e chi professa a favore di essa (lo si capisce dalla splendida sequenza della statua della madonna che prende vita per confortare le malinconiche pene di un collegiale; per rinfrancarlo con un fugace abbraccio), ma pone, dalla parte della direzione dell’istituto, un personaggio affascinante come quello del vice rettore (Renato Scarpa), un personaggio capace di comprendere e prevenire ciò che lo minaccia (anche se, probabilmente, il furto della salma di padre Matematicus da parte di un individuo travestito da rottweiler sarebbe stato difficile da comprendere anche per un individuo dalle più larghe vedute) anche se incapace di giustificare appieno, come invece accade nel fondamentalismo di ogni credenza o fede, le proprie ideologie.

L’uomo moderno é un uomo sconfitto su ogni fronte (concezione di post-moderno), nulla lo può salvare, solo il distogliere la propria mente dal pensiero ogni volta gli fosse possibile il lusso di farlo. Bellocchio passa in maniera indolore da un registro di linguaggio all’altro: amalgamando con sapienza le giuste dosi di surrealismo/simbolismo con la cronaca storica, prevedendo il futuro. Un futuro che rifiuta la reale entità del concetto Durkehimiano di ‘comunità’. E di conseguenza anche di ‘sacro’.
Un grande film, costituito da dialoghi potenti ed importanti apici visivi. Nulla a che vedere con le ultime produzioni di Bellocchio, più strutturate sulla povertà di messa in scena e sui silenzi. O peggio ancora sull’abuso di filmati di repertorio.

Luca Vecchi

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