La storia del rock attraverso l’uomo Mark Knopfler
ROMA- Era il 1977: Mark Knopfler fonda i Dire Straits (tradotto in italiano “gravi difficoltà”) una rock band britannica che ha il coraggio di suonare un rock and roll semplice, impreziosito da influenze country, blues e jazz provenienti dagli anni Cinquanta e Sessanta.
E’ il 13 luglio 2010, i Dire Straits non esistono più, ma quello strano chitarrista che utilizza una tecnica difficilmente usata nella musica rock, suonando la chitarra con le dita senza usare il plettro, è ancora sul palco per continuare ad incantare i suoi ormai cresciuti, ma sempre presenti, fan che dopo 30 anni sono in fila in silenzio religioso per aggiudicarsi gli ultimi pass per il tanto atteso arrivo del “mito”. Tra la folla imprenditori in giacca e cravatta, professori e presidi universitari con magliette riprese dopo trent’anni e portate con orgoglio, barboni e giovani amanti della musica. Che lo spettacolo abbia inizio…
Si spengono le luci e poi nel silenzio un boato, Mark Knopfler sale sul palco con la sua inseparabile chitarra, accompagnato dalla sua band che, senza titubare, inizia il lungo live con “Border Reiver”: il soffice flauto, la tanto attesa chitarra e poi energia pura fino a “What it is” che con le sue luci soffuse e blu, dà spazio alla malinconia fino alla fine delle parole, solo le corde di una chitarra percosse con maestria e le note del flauto cullate dal vento. Due fari, poi un terzo per il violino, e così uno ad uno tutti insieme per dare sfogo alla musica, alla melodia della sofferenza e del rimpianto.
Si continua con pezzi del repertorio da solista di Knopfler, passando dal country al folk, fino al cajun, attraverso pezzi come la delicata e sussurata “Sailing Philadelphia” (N.d.R. nell’album da cui trai origine si avvale della collaborazione di James Taylor), la sensuale e calda “Cleaning my gun”che dà luce al contrabbasso e a momenti di sola voce e batteria, fino a “Hill Farmer’s Blues” che con il suo ukulele ci trasporta in una corsa nel deserto, sempre più veloce, con il battito di mani a tenere il tempo, ad incitare il corridore solitario finalmente in sintonia con se stesso e gli altri.
E’ arrivato uno dei momenti più attesi dal pubblico amante del Mark Knopfler dei Dire Straits, parte il pianoforte a coda che dà subito spazio alla chitarra argentata che riflette la luce nel pubblico, la luce di “Romeo & Juliet”, la luce su una coppia che non è riuscita ad entrare, ma che ascoltando da fuori, dondola abbracciata. La poesia finisce con le note solitarie e romantiche del pianoforte.
Il live continua senza sosta passando per “Sultans of Swings” dei Dire Straits, che porta al delirio generale, “Done whit Bonaparte” che rende possibile, ancora una volta, la comunione tra la chitarra acustica e gli altri strumenti, e un crescendo che porta al vero e unico momento rock (con l’accezione più moderna del termine), momento in cui il violinista che con trasporto si tuffa nella musica, sembra dimostrarlo anche fisicamente. Dopo “Telegraph Road” dei Dire Straits le barriere si rompono definitivamente e gli spettatori più giovani lasciano le gelide e distaccate sedie per accorrere sotto il palco. Il ringraziamento dal palco per il calore del pubblico è un inchino e un brindisi alzando i calici in aria a creare il contatto.
L’osannato e stanco chitarrista abbandona il palco, ma la sua assenza dura veramente poco. Si ricomincia con due pezzi dei Dire Straits: la fantastica “Brothers in arms” (N.d.R. il brano è tratto dal celebre album Brothers in Arms del 1985 che fu il primo album rock ad essere stampato su compact disc, il più venduto dell’intero decennio nel Regno Unito contenente “Money for Nothing”, il cui videoclip fu il primo in assoluto ad essere trasmesso da MTV in Gran Bretagna nel 1987) e “So far away” per poi salutare i suoi ammiratori con “Piper to the end”.
Era il 1977: Mark Knopfler con i Dire Straits e i suoi assoli di chitarra incendiava le masse; agli esordi la band era solita chiedere ai gestori dei pub in cui suonavano di mantenere basso il volume degli amplificatori, in modo tale da permettere al loro pubblico di conversare liberamente durante le loro esibizioni.
E’ il 13 luglio 2010, i Dire Straits non esistono più, le luci del palco e l’abbigliamento sono semplici ed essenziali come in passato, il pubblico incita al silenzio più totale. Si ha la sensazione di essere fuori dal tempo.
E se per un momento il cinismo fa pensare che la presenza degli ultra cinquantenni fosse dovuta ad una vena malinconica verso una gioventù ormai passata, basta fare due chiacchiere per capire che molti dei presenti amavano di più i lavori del Mark Knopfler solista che quelli di lui come leader dei Dire Straits.
E se per un momento si ha l’impressione di avere davanti un chitarrista stanco di essere tale, imprigionato dalla propria fama in un ruolo ormai stabilito, una macchina che va avanti senza esitazione anche se arrugginita, basta chiudere gli occhi durante i, seppur rari, momenti intensissimi di vera ispirazione e sintonia con gli altri musicisti, per poi riaprirli e vedere la gente più disparata emozionata ed esaltata, per fermare ogni pensiero razionale e sentirsi fortunati per aver partecipato ad un grande show. Il concerto di un grande musicista del passato e del presente, di un esempio per tutti i giovani musicisti e per i loro seguaci. Alla prossima Mark Knopfler!
Paola Zuccalà
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