Joe Barbieri: la musica in un respiro
A circa tre anni dal precedente, Joe Barbieri è tornato con un nuovo disco di inediti, Respiro, un disco che è l’ennesima conferma di un artista presente sulla musicale italiana ormai da quasi 20 anni. Fu Pino Daniele a scoprirlo, ma fin dall’inizio ha camminato sulle proprie gambe collaborando con grandi nomi della musica nazionale e internazionale.
L’abbiamo incontrato poco prima del concerto del 9 maggio all’ Auditorium Parco della Musica di Roma, dove ci ha raccontato della nascita di Respiro e delle collaborazioni che lo accompagnano.
Nel “making of” del tuo precedente disco hai detto che Maison Maravilha è “la celebrazione della capacità di essere sorpresi”, cos’è Respiro?
È un matrimonio con l’errore, con la fallibilità dell’essere umano, con le sue imperfezioni che, però, diventano scintille di genialità, la stessa che ha animato le persone che hanno partecipato a questo disco. Ho scritto queste canzoni anche sbagliando, partorendole di getto, senza troppi filtri compositivi, e questo, che potrebbe essere un neo, ha avuto un impatto positivo a mio parere.
E il titolo?
Il titolo deriva dal fatto che esattamente come non possiamo controllare il respiro, ho cercato di scrivere queste canzoni senza controllo, ho cercato di non essere controllore di quello che stavo facendo ma di lasciare libertà al fluire dell’ispirazione.
Il primo singolo, “Zenzero E Cannella”, ha un video ambientato in un bagno che poi si trasforma in piscina, come nasce questa idea? Perché hai scelto proprio questa canzone come primo singolo?
In realtà è una specie di gioco tra questi due personaggi che si incontrano in varie dimensioni di fantasia immergendosi ciascuno nella propria vasca da bagno. Ho scelto questo pezzo perché secondo me è una buona fotografia dell’album, in cui c’è una fisicità simile a quella del concetto stesso di respirare. In qualche modo è qualcosa di fisico così come lo zucchero e la cannella richiamano il cucinare. E poi musicalmente mi divertiva molto!
Il testo della canzone cita vaniglia, acini di pepe, chiodi di garofano, paprika… tutti ingredienti afrodisiaci, è un caso o è voluto?
No, è stato un caso però devo dire che in realtà penso che il preparare dei piatti, condirli con le spezie, mescolare, in qualche modo ha già in sé il gesto della seduzione, per cui indirizzare il gusto in una direzione piuttosto che un’altra usando una spezia più particolare è un manifesto di intenzioni, quindi c’è un legame!
Nel disco è presente anche una canzone in napoletano “E Vase Annure”, cosa che se non sbaglio non avevi mai fatto prima…
Da napoletano ho sempre avuto un timore reverenziale nei confronti del repertorio e delle meravigliose canzoni che ne fanno parte e, nonostante il tentativo in questo disco, rimango convinto che sono vette inarrivabili, da cui mi sono sempre tenuto lontano. Però ad un certo punto ho, anche in questo caso, mollato un po’ gli ormeggi. Ho pensato che non devo mettermi in competizione in una battaglia persa in partenza, però ho voluto mettermi alla prova unendo i miei due grandi amori: la canzone napoletana e quella brasiliana. Così è nato questo brano che pur essendo nuovo, suona come un brano vecchio che potrebbe essere interpretato da Sergio Bruni come da João Gilberto.
Tra l’altro ha partecipato al pezzo anche Fabrizio Bosso.
In realtà con Fabrizio c’è un tale affetto e stima reciproca che sapeva già che nel momento in cui avessi fatto un disco nuovo l’avrei chiamato! Devo dire che Fabrizio con grande fiducia è arrivato in studio senza sapere cosa avrebbe dovuto suonare, perché, come ti dicevo, è un disco di grande istinto da parte non solo mia, ma di tutti quelli che vi hanno preso parte.
Anche l’altra canzone con Bosso non è in italiano ma in francese, insomma con lui non è possibile cantare in italiano?
Dal vivo abbiamo cantato spesso in italiano perché lui è stato spesso mio ospite ai concerti però in questa occasione abbiamo un po’ viaggiato con la musica.
Anche in questo disco non manca la collaborazione con un artista internazionale, Jorge Drexler, come vi siete incontrati? E come nasce “Diario di Una Caduta”?
È l’ospite di questo disco che conosco da più tempo anche se non c’era mai stata occasione per una collaborazione. Questa canzone,però, ha un vago retrogusto tenchiano per cui, sapendo quanto Jorge sia un appassionato di Luigi Tenco, mi è sembrato il brano giusto! Jorge stesso ha inserito in un suo disco di 2- 3 anni fa una bellissima versione per chitarra e strumenti elettronici di “Lontano Lontano”.
Impossibile a questo punto non chiederti qualcosa sugli altri due ospiti del disco: Bollani e Testa, come li hai conosciuti e come sono nati “Un regno da disfare” e “Le milonghe del sabato”?
Stefano è un incontro nato all’interno dei suoi programmi radiofonici e televisivi ai quali mi ha invitato e da cui è nata un’empatia. Bollani per ragioni personali ha un legame speciale con una mia canzone, “Normalmente”, e quindi c’era questo passepartout che in qualche modo ci ha avvicinati e da lì è rimasto un ottimo rapporto. Gianmaria Testa è l’unico che non conoscevo quando abbiamo iniziato a registrare il disco però io studio il tango da tanto tempo, pur restando sempre a un livello imbarazzante. Così, affascinato da questa forma artistica, ho scritto un tango che parla di tango. Quando io ho iniziato a ballare mi è capitato ogni tanto di ballare sulle canzoni di Gianmaria Testa quindi quando ho scritto questa canzone ho pensato subito di invitarlo. Così spero di aver restituito al tango ciò che lui mi ha dato!
Bossanova, jazz e Napoli: cosa hanno in comune?
Il sud, i vinti, il riscatto, il cuore oltre l’ostacolo. Sia i napoletani che i brasiliani sono popoli che hanno dovuto lottare per cui hanno una scintilla particolare dentro e, soprattutto, quando sono riusciti a fare qualcosa l’hanno fatto alla grande!
Hai scritto anche canzoni per altri artisti, come Giorgia e Laquidara, come decidi se interpretare tu
na canzone o darla a qualcuno?
In realtà agli altri do gli scarti! (ride, ndr) Scherzo! Io non scrivo molto ma se c’è una particolare affinità, se in quel momento quell’artista sta entrando in studio quindi la coincidenza vuole che quella canzone gli stia bene addosso, allora gliela do ma non c’è una scientificità nel processo di scelta.
Oltre che cantautore, hai anche una piccola casa discografica, la Microcosmo Dischi, com’è nato questo progetto e come ti approcci a coloro che ti mandano i demo?
In realtà è nato per pubblicare i miei dischi perché non volevo più compromettere il senso delle cose che scrivevo. Poi da quello si è allargato ed è diventata una casa discografica vera e propria. Ai demo mi avvicino con grande rigore, senza fare sconti: in un’epoca in cui ci sono tanti dischi, forse troppi, bisogna che esistano i dischi che hanno davvero ragione di essere. Io devo dire che, occupandomi principalmente di world music, più straniera che italiana, spesso vado a pescare personalmente tra dischi di artisti che amo e che magari non sono pubblicati in Italia.
Come credi si sia evoluto il mercato discografico rispetto all’inizio degli anni ’90?
È cambiato che 15 anni vendevo un po’ meno dischi ma ero con una major che mi ha bollato come un clamoroso insuccesso! Oggi le stesse copie sono un grande successo (ride, ndr) Per il resto credo che oggi sia più difficile e faticoso ma non cambia il fatto che si tratta di una necessità che non può essere soddisfatta altrimenti se non facendo musica, dischi e concerti. Poi la gente si è anche smaliziata e giudica.
Ma per un emergente è più facile adesso o prima?
Secondo me per certi versi era più facile prima perché c’era una torta più ricca e quindi più possibilità di sbagliare per una casa discografica. Io dodici anni fa ho lavorato con un direttore artistico storico della discografia italiana, Vincenzo Micocci, che oggi non c’è più. Micocci che ha scoperto De Gregori ed è stato direttore artistico dell’RCA per molti anni. Un tempo questi direttori avevano la possibilità di far incidere ai gruppi 4-5 dischi in attesa che il pubblico si avvicinasse alla loro musica, oggi non è assolutamente così. Oggi un artista se ne va a casa e le possibilità di esposizione sono quelle che si procura. Per questa ragione, come dicevo prima, scelgo solo dischi che abbiano ragione di esistere: di musica ce n’è tanta, e anche buona, ma il mercato oggi è diventato molto più diffidente e selettivo e c’è bisogno di più lucidità.
Nel 2010 hai pubblicato Maison Maravilha Viva (live), registrato proprio qui all’Auditorium, cosa ti lega a questo posto?
È un posto speciale, quindi mi sembrava il posto giusto per realizzare un disco live che tra le altre cose abbiamo registrato con un’unica sessione alla prima data della tournee, senza aver rodato prima lo spettacolo o, come in genere si fa, non abbiamo registrato 3 – 4 live e poi scelto il meglio. È stato un rischio ma sapevo di avere l’affetto di quello che non chiamo da tempo pubblico ma chiamo la mia famiglia allargata.
Credi che uscirà un nuovo disco live di questo tour?
Non ci ho ancora pensato! In realtà ci sono molti altri progetti che stanno prendendo forma nella mia testa però è troppo in divenire per parlarne.
Giuditta Danzi
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