Bandajorona: tradizione romana
Loro si chiamano i Bandajorona e il 19 aprile scorso hanno pubblicato Mettece Sopra, un viaggio a tinte forti attraverso le mille sfaccettature della Capitale. A farci da guida Ludovica Valori, fisarmonica, trombone e cori del gruppo, nonché autrice di diversi brani del disco.
Iniziamo dal nome, perché un gruppo che fa musica popolare romana prende il suo nome da un brano messicano, “La Llorona”?
Questa è una domanda che ci fanno spesso e che apre un po’ le finestre sulla nostra provenienza. “La Llorona” è stata un cavallo di battaglia della nostra cantante, Bianca Giovannini, al tempo della Titubanda, una street band di ottoni e percussioni. Siamo rimaste molto affezionate a questo brano, per cui l’abbiamo usato nel nostro nome trascrivendolo, però, un po’ alla romana perché la doppia “L” dello spagnolo è difficile farla pronunciare ai romani.
Siete una band da sempre molto attenta anche alle altre forme artistiche di comunicazione, per questo mi incuriosisce la scelta della copertina del vostro disco!
È una fotografia che è stata fatta da un nostro carissimo amico, giornalista e musicista, Pietro Orsatti. Ci ha colpito molto perché ci è sembrato uno sguardo un po’ malinconico, però anche innocente sulla realtà di oggi. È una copertina che esce un po’ dal cliché dell’immagine di Roma. Ad esempio sul primo disco avevamo messo il gazometro che è un’immagine di una Roma anni ’70, adesso non volevamo rappresentare con un’immagine esplicita la città di cui parlano anche i nostri testi. L’immagine scelta pensiamo sia poetica e poi siamo grandi amanti degli animali, per cui è stato istintivo sceglierla come copertina. All’interno del booklet c’è anche una foto del gatto di Bianca!
Fate spesso riferimento a zone di Roma come Pigneto Torpignattara, Casilina…
Questo dipende dal fatto che sono i posti che frequentiamo, per cui è una cosa automatica. Spesso, però, ci spostiamo anche in periferia.
Infatti il disco l’avete presentato al teatro di Tor Bella Monaca…
Certo! È stata una bellissima esperienza in un teatro molto bello. Abbiamo cercato di coinvolgere le persone che avevano partecipato al disco quindi erano con noi diversi ospiti, da Gian Paolo Felici degli Ardecore ad Alessandro Mazziotti.
Come nasce Mettece Sopra? Quanto c’è di ricerca e quando di creatività?
Era tanto tempo che volevamo fissare questa nuova tappa e raccontare la città di oggi. Nel disco ci sono brani scritti dal poeta dialettale Pier Mattia Tommasino, tra cui la title track, un altro brano l‘ha scritto il nostro contrabbassista, un altro il batterista delle Nuove Tribù Zulu. La produzione è nostra quindi è un percorso che ci ha preso abbastanza, ma siamo molto contenti del risultato.
Infatti arriva a parecchio tempo dal precedente.
Si, è vero! La cosa bella di esser indipendenti è che investi tanto, ma fai un disco solo quando lo vuoi veramente e secondo i tuoi tempi.
Le canzoni le avevate già sperimentate durante i live?
La maggior parte dei brani li avevamo testati live però il disco ci ha dato la possibilità di sperimentare. Ad esempio in “Mettece Sopra” abbiamo inserito una chitarra elettrica, il timpano suonato da Gian Paolo Felici, cose mai fatte prima perché siamo un gruppo acustico, mentre il disco ci ha dato modo di sperimentare nuove sonorità. Ad esempio in “Fiori Tzigani”, un brano che ho scritto io pensando ai rom, abbiamo chiamato Marian Serban,un bravissimo musicista rumeno che in studio ci ha regalato delle performance bellissime. Il disco ci ha dato modo di arricchire la nostra tavolozza!
La title track è scritta, per il testo, dal poeta Pier Mattia Tommasino, perché avete scelto questa traccia per intitolare il disco?
È un brano molto intenso e difficile che parla di argomenti complicati, come il dolore e la morte. La musica è di Davide Baldi, con cui collaboriamo da tempo, e l’abbiamo scelto perché man mano che ci lavoravamo ci coinvolgeva sempre di più. Dal vivo lo eseguiamo in maniera molto spoglia, voce e contrabbasso, e riesce ad essere molto intenso anche in quel modo.
Tra l’altro al suo interno c’è anche la zampogna, uno strumento che ormai si sente poco accostato alla chitarra elettrica. Una dimostrazione che qualsiasi strumento può essere rock?
Assolutamente! Era proprio quello che volevamo sperimentare ed è venuto anche molto spontaneo ai musicisti. Alla chitarra abbiamo voluto Lutte Berg, molto abituato a suonare in generi diversi. Tengo a dire che in questo disco non ci sono turnisti ma solo persone che noi conosciamo e amiamo perché fanno proprio parte del nostro mondo.
“So’ Nata Sfortunata” è un canto raccolto da Graziella Di Prospero che avete deciso di reinterpretare in chiave femminista, come mai questa scelta?
È un brano a cui siamo molto affezionate, come siamo affezionate tantissimo a Graziella Di Prospero, la cui grandezza ancora oggi viene poco riconosciuta. Noi l’abbiamo sempre seguita e suo marito ci ha anche dato dei brani inediti. Questo era già uscito, ma la forma originale è molto lenta, intensa e triste, mentre noi abbiamo voluto rileggerlo in chiave rivendicativa anche perché nel gruppo siamo tre donne e un uomo, quindi la nostra identità si fa sentire! (ride, ndr) Noi ci teniamo a parlare di queste tematiche.
Oggi a tuo parere a che punto si è nel raggiungimento della parità tra uomini è donne?
C’è ancora molto da fare da parte di tutti, perché credo che sia inutile chiudersi in dichiarazioni di principio che poi non si mettono in pratica, bisogna lavorare sull’incontro e bisogna uscire da certi cliché. Nella mia carriera musicale ho suonato spesso in gruppi composti solo da uomini e mi sono trovata molto bene, però mi piace molto anche suonare con le donne e trovo che siano ancora troppo poche le donne musiciste: sembra quasi che possano solo o cantare o fare le coriste!
Torniamo a“Fiori Tzigani” è uno dei brani di cui sei l’autrice, dedicato ai rom, come nasce?
Anche le tematiche sulla discriminazione dei rom ci sono sempre appartenute, infatti fin da quando facevamo parte della Titubanda siamo sempre andate a suonare nei campi rom. Ho sempre sentito la cultura balcanica e quella rom molto vicine quindi abbiamo voluto dare spazio a queste minoranze che ci sono a Roma e spesso vengono un po’ ignorate.
Oltre ai rom, a Roma ormai vivono diverse persone provenienti da diverse aree geografiche, al punto che in “Fame D’Amore” insieme ai piatti della tradizione culinaria romana, ci sono gli involtini primavera.
Infatti si! (ride, ndr) Anche quello è un aspetto della Roma che noi raccontiamo, come in “Bolero Alla Romana” abbiamo voluto rendere omaggio alla comunità sudamericana che è molto grande a Roma, poi c’è la comunità greca con “La Regina Der Pigneto” con la partecipazione di alcuni musicisti greci di un gruppo in cui suona il nostro contrabbassista, Daniele Ercoli. È un disco in cui si incrociano tantissime strade e ha tanti sapori diversi come i colori della nostra città oggi.
A tuo parere come sta reagendo la città, o meglio i cittadini, a queste ondate migratorie?
Roma è da sempre una città accogliente quindi magari reagisce meglio rispetto ad altre città italiane. Roma non è una città che tende alla segregazione, per cui riesci sempre a trovare un po’ il tuo spazio, però purtroppo in un momento di crisi come questo il razzismo è sempre in agguato. Bisogna fare attenzione a non lasciare spazio a certi atteggiamenti, ma io credo che Roma conservi la sua caratteristica: quella di essere un luogo di incontro.
In “Serenata di Graziella (Alziti bbella)” canta Giorgio Tirabassi, com’è nata questa collaborazione?
Tirabassi è molto conosciuto e apprezzato come attore, ma pochi sanno che è anche un grande cantante! Tirabassi porta in giro uno spettacolo di bellissime canzoni e siccome il nostro contrabbassista, Daniele Ercoli, ha fatto alcuni spettacoli con lui, ci è sembrato bello coinvolgerlo nel disco. È stata una bellissima esperienza. Noi dal vivo suoniamo anche un altro brano suo, che abbiamo chiamato “Stornello di Tirabassi”.
Il disco è chiuso da Remo Remotti con in sottofondo i rumori tipici della città, insomma avete voluto chiudere con uno dei testimoni della storia della città?
Remo Remotti è stato tra gli iniziatori del ritorno del dialetto romano nella musica e con lui abbiamo spesso condiviso il palco, è un nostro amico e compagno di viaggio. Lui è stato molto contento di regalarci questo brano, che per noi è rappresentativo perché parla di un problema importante sia all’epoca in cui l’ha scritto che adesso: molti devono ancora andare via dall’Italia per fare gli artisti!
Avete suonato in diverse città italiane come Milano e Torino, ci sono differenze rispetto a quando suonate a Roma?
In realtà il gruppo si è unito proprio a Milano perché la nostra cantante per un periodo ha vissuto lì. Questo già fa capire che, anche se è vero che la canzone romana è meno conosciuta e desta meno interesse rispetto ad altre tradizioni musicali italiane, poi quando la proponi piace anche al di fuori dell’Italia. Ad esempio ci sono stati dei giovani registi portoghesi che ci hanno detto che la sentivano molto smile al fado. Insomma secondo me c’è spazio per uscire fuori dai confini di Roma, anche se non è semplice. Il romanesco si porta dietro una reputazione un po’ goliardica e questo noi, come gli Ardecore e i Muro Del Canto cerchiamo un po’ di cambiarlo. Il dialetto ha una sua dignità e da Pasolini in poi bisognerebbe ricordarselo!
Quest’estate?
Proprio insieme a Remotti e ad altri due gruppi della scena romana che sono sempre con la Goodfellas, abbiamo preso parte a un vinile proprio intorno al brano di Remotti “Mamma Roma Addio”. Il 7 luglio, insieme a Muro Del Canto, Ardecore e Remo Remotti, ci esibiremo a Villa Ada nell’ambito del festival “Roma Incontra Il Mondo”, quindi diamo a tutti appuntamento lì! E poi ci saranno anche altre date!
Bianca Giovannini – voce
Daniele Ercoli – contrabbasso, cori
Désirée Infascelli – mandolino, fisarmonica
Ludovica Valori – fisarmonica, voce, trombone
Giuditta Danzi
Bandajorona, Giuditta Danzi, Intervista, martelive, martemagazine, musica