Bentornato in Piazza Grande
Una massima di Paulo Coelho recita: “Vivi la tua vita in modo che quando morirai, tu sia l’unico che sorride e ognuno intorno a te piange”. Nell’era della gara al compianto nulla sembra essere più vero e riuscito.
Opinata e opinabile la consuetudine del cordoglio collettivo, che va dai social network alla stampa, dalle trasmissioni di Vespa alle radio locali, eppure ci si ritrova ciclicamente tutti uniti in un lutto nazionale alterato, artefatto, rumoroso, che ci fa sentire fratelli e sorelle, sempre e solo, quando perdiamo qualche pezzetto di noi.
La morte di Lucio Dalla è stata l’ennesima prova di quanto ancora, anche nella musica, si abbia bisogno delle vecchie leve, e di quanto la fine fisica di una persona sia inversamente proporzionale alla celebrità che acquista il suo personaggio.
Un requiem di canzoni lunghe cinquant’anni, sciorinate, ascoltate, riproposte, tempestano wall e cinguettano. Svariate generazioni lasciate un po’ più sole. Sole, senza nessuno che sia abbastanza sfrontato da parlare di fellatio cornificatrice nelle proprie canzoni. Sole, senza chi con immensa intelligenza e capacità compositiva, ha saputo rispondere alle esigenze musicali di un intero popolo.
La musica di Dalla ha accompagnato tutte e tutti, dalle feste comandate in cui si è ballato con i Watussi, al film del lunedì sera. C’era a Sanremo, c’era nei duetti con Mina e in quelli con De Gregori, c’era nelle collezioni dei musicofili e nelle radio nazionali. Dalla era per tutti e alla portata di tutti. Era uno di casa, un vicino che abbiamo visto invecchiare e che ha visto noi crescere e sapeva raccontarci storie di ogni genere, attraverso le sue canzoni. E poi c’è un fatto: chiunque riesca a far dire a Giacomo Puccini “mortacci tua e de li romani” è un visionario. Chiunque riesca a far imprecare Puccini senza togliere una virgola all’eternità della Tosca e all’amore del suo Mario, è un poeta. Lucio Dalla era un poeta visionario.
Alcuni anni fa ebbi il piacere di intervistare David Zard, il quale con una trasparenza che appartiene davvero a pochi uomini, mi parlò di un Lucio Dalla fatto di carne e ossa, della loro collaborazione per la realizzazione di Tosca Amore Disperato e con una sola frase riuscì a rendere l’idea dell’uomo e l’artista che era : “Dalla sconsacra tutto ciò che consacra”.
(S)Consacra l’opera di Puccini rendendola pop, erotica, riscrivendone i testi, le musiche che diventano un album e un singolo con Mina e “Lucevan le stelle” lascia presto spazio alla musica leggera. Atto di coraggio e di certo egocentrismo, ed è questo quello che più mancherà della sua figura artistica: la sfrontatezza, la versatilità di gatto girovago e senza padrone. Un brigante perbene che attraversa il paese vivendolo in compagnia dei romani del folkstudio, con la Genova cantautorale di Gino Paoli, da attore a spalla di Jimi Hendrix, dall’operetta di Pierino e Il Lupo, alle prima serate di Rai Uno, per ritornare, dopo aver vagato in ogni dove, alla sua cuccia in Piazza Grande.
Con lui se ne vanno tutti i ricordi che non abbiamo vissuto ai quali siamo però aggrappati, la memoria di Tenco e un pezzo dell’epoca musicale più creativa del nostro paese. La morte di Dalla ci lascia nostalgici come il protagonista di Midnight in Paris, con un sogno nel cappello, fiduciosi nell’anno che verrà. E la morte di Dalla sbeffeggia pubblicamente l’incoerenza dello Stato-Chiesa. La Stessa chiesa che da sempre allontana gli omosessuali, il 4 marzo 2012 davanti alle telecamere e alla folla ne omaggia uno, dimostrazione del fatto che di fronte al nostro Dio (e non), siamo davvero tutti uguali. La sua ultima provocazione. Ci mancherà.
Buon viaggio Lucio e attento al lupo…
Ornella Stagno
editoriale, Lucio Dalla, martelive, martemagazine, musica, Ornella Stagno