Quando la neve…
No, non ricordavo una nevicata così da quando nel 1985 il 6 gennaio, mi sono svegliata la mattina con gli occhi che mi brillavano e un piede già fuori dal letto e dentro ai Moonboot.
Ricordo con piacere la neve che filtrava tra i pini, il cane che correva felice in giardino ed io che in 5 minuti avevo già fatto colazione ed ero pronta per andare a giocare, con in dotazione la busta di plastica dell’immondizia per poter scivolare “effetto slittino” dalle colline intorno a casa (la fortuna di abitare in campagna!).
Ricordo che allora la gioia era incredibile: Roma non è una città in cui nevica con facilità, vedere cadere dei fiocchi qui è un evento a dir poco straordinario, per cui vale la pena festeggiare, sempre, soprattutto allora, quando insieme alla neve fioccò la notizia delle scuole chiuse e della possibilità di giocare ininterrottamente per qualche altro giorno, prolungando così le gioie delle vacanze natalizie appena terminate.
W la neve, quindi…
Ma poi si cresce, la prospettiva cambia e, sebbene, lo sguardo sulle cose rimanga lo stesso e quindi l’istinto è quello di chi sorride al miracolo che cade dal cielo, poi a prendere il sopravvento è la preoccupazione per i disagi: non sapere come tornare a casa, nè come andare a lavorare, e come fare le cose che comunemente si fanno tutti i giorni? Il famoso vivere comune viene minato alla base e messo in seria discussione e allora la neve non è più una gioia, una sorpresa, ma un disagio, un fastidio, una preoccupazione.
Eppure quando la neve cade la poesia è alle porte, basterebbe avere l’accortezza di darsi tempo di ascoltare la sorpresa della terra che si vede luccicare occhi e cuore di una luce nuova, mentre riflette il sole e ammanta tutto di un silenzio ovattato, dolce e di un freddo pungente che però stuzzica l’appetito e i sensi. Bisogna solo cercare di andare oltre il ronzio che ci ottunde la mente, quel ronzio da cui siamo perennemente presi, quel rumore sordo che è il sottofondo su cui scorre la vita, senza lasciarci mai il tempo di vivere davvero per ciò per cui varrebbe la pena.
Quindi, questo editoriale è solo un invito. Un invito a riflettere con cura sulle condizioni di vita di ogni giorno, sulle cose che vale ancora la pena guardare, possibilmente con gli occhi di un bambino…
Edyth Cristofaro
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