Madame Decadent: visionaria loverista
A vederla così minuta non si direbbe, ma Madame Decadent ha un lato oscuro che la perseguita da anni e non ha paura di affrontarlo. Le sue tele sono la reincarnazione dei suoi demoni che, una volta impressi sulla tela, sembrano esorcizzare un passato doloroso.
Con le sue performance ci mostra la sua anima tormentata, inquieta, pur non svelando i suoi segreti, attraverso un sogno “negro” (“Schwarze Traum”) che porta lo spettatore in una dimensione di cui spesso si ha paura. Come una sorta di specchio del lato più tenebroso del nostro inconscio, Madame Decadent ci guida alla scoperta dei nostri peggiori incubi, scavando sotto pelle esponendosi alla luce dell’occhio attento, ma allo stesso tempo agitato del suo pubblico.
Vincitrice dell’ultima edizione di MArteLive, l’abbiamo intervistata cercando di scoprire quali sono i suoi segreti…
Chi è Madame Decadent?
Madame Decadent è una visionaria Loverista nata in un’epoca sbagliata.
Quando hai capito che una parte della tua identità era da dividere con questo alter ego? E qual è stato il percorso che ti ha portato a realizzare questo?
Madame Decadent è sempre stata parte di me, lei è la mia arte, il mio lato più oscuro, confinata nella mia testa. Un giorno si è stancata di vivere solo dentro me e ha deciso di uscire fuori e farsi carne. Così è nata Madame Decadent.
A vedere le tue opere si percepisce che il tuo modus operandi è caratterizzando dall’istintività. Cosa ti spinge a usare un pennello per comunicare?
Quando dipingo sento una forza incredibile che da dentro il mio corpo spinge fuori, verso la tela. Sono solo un tramite. Questa energia è il frutto delle lacrime e dei dolori che la vita mi ha serbato, ma che io ho accettato. Non credo che sarei stata la stessa persona se avessi vissuto con la famiglia del mulino bianco. Come ho scritto sul mio corpo è stata una “Preziosa Infelicità”, esorcizzo il dolore rendendolo visibile. Nell’arte, fin da bambina, ho trovato il canale giusto per far uscire i miei demoni, guardarli in faccia e affrontarli.
Molto suggestive sono anche le tue performance, con le quali riesci a portare il pubblico che ti osserva in una dimensione cupa, inquietante, ricca di pathos… Ti va di parlarne? Cosa ci vuoi dire attraverso la performance?
Le performance sono lo specchio di quello che succede nella mia testa. Riuscire a trasportare lo spettatore nel mio interno e toccargli il cuore, questo è il mio obbiettivo.
So che spesso nel campo dei performer vige l’assoluta riservatezza sui “trucchi di scena”, una sorta di ingrediente segreto che non si può svelare, ma qual è il processo creativo del tuo lavoro? Come progetti una performance?
Immagini. Le mie performance sono immagini che nascono nella mia testa, create dall’eco di eventi o sensazioni che vivo. Quello che cerco di fare è tramutarle in quadri o in performance. Se diventano performance inizia un lungo lavoro di creazione in reale di un’immagine onirica. Spesso mi scontro con i limiti che la realtà mi impone.
Quali sono i criteri di scelta per l’uso dei materiali che adoperi?
Non ho esigenze particolari per i materiali, posso lavorare su ogni supporto e con ogni tipo di colore. Basta che ci sia il nero! Cerco di fare scelte pratiche che mi aiutino nell’allestimento, per cercare di concentrarmi il più possibile sulla performance. Ho un occhio di riguardo per i materiali di recupero. Punto fondamentale: non possono MAI mancare la mia sparapunte feticcio e mio marito.
Le tue performance non prevedono alcun tipo di contatto con il pubblico se non visivo e solo in particolari momenti. Quanto influisce la presenza di spettatori sulla tua performance?
Essendo l’interlocutore un voyeur di uno scorcio della mia follia celebrale non è contemplato Il contatto. Può succedere che durante una performance intraveda lo sguardo di qualche spettatore, in quel momento mi sento come se mi avessero svegliato bruscamente da un sonno profondo. Una frazione di secondo e poi sono trascinata di nuovo nel vortice della performance.
Prima di entrare in scena hai già in mente cosa rappresenterai sulla tela oppure ti lasci prendere dal momento?
Il caso e l’istinto sono parti fondamentali delle mie performance, la progettazione mi toglierebbe l’istinto di cui mi nutro.
Durante le tue esibizioni uno degli elementi che accompagnano le tue azioni è la musica, che oltre a dare corpo ai vari “atti” della performance stessa, scandisce in maniera più o meno precisa i tempi che hai a disposizione per riempire la tela. Ma mettendo per un attimo da parte la performance, invece, vorrei chiederti: considerando il tipo di arte che fai e per come lavori, come capisci quando l’opera è finita?
Ottima domanda: io non mi fermerei mai. Certe volte arrivo a distruggere le opere, perché non riesco a bloccarmi. Faccio uno sforzo per riacquistare la lucidità e capire che mi devo fermare. Quindi non so se i miei quadri siano realmente finiti, il termine dell’opera per me è la distruzione dell’opera stessa e l’opera divenuta gesto.
Tornando alle performance, un altro elemento indispensabile è il corpo. Qual è il rapporto che hai con il tuo corpo?
Il mio corpo è un pennello, uno scalpello, una tavoletta grafica. Il mio corpo è lo strumento che uso nelle mie performance. Non lo amo particolarmente e non lo curo quanto vorrebbe, ma è l’unico corpo che ho quindi mi va più che bene. Rispetto alla quotidianità forse è proprio durante le performance che ha la sua massima celebrazione.
Hai diversi tatuaggi sul tuo corpo, visibili nel momento in cui durante la tua esibizione ti strappi il lattice lasciando scoperte le tue nudità. Secondo te la presenza del tatuaggio sul corpo nudo, penalizza o rinforza la tua performance?
Questo è stato un punto che mi ha portato ad una lunga riflessione. “Possono i miei tatuaggi distrarre durante la performance?”. A quel punto ti chiedi “possono i capelli verdi distrarre durante la performance?” e ancora “può la nudità distrarre durante la performance?”. Continuando così all’infinito ho capito che né i tatuaggi né altre parti di me avrebbero potuto distrarre, perché sono parte integrante della mia persona e, quindi, anche loro protagonisti della performance.
Di recente sei stata nominata vincitrice dell’ultima edizione di MArteLive. Cosa ha significato per te?
MArteLive è stata una bellissima esperienza che mi ha aiutata a rimettermi in produzione. Venivo da 7 anni di torpore artistico, totalmente disinteressata al mondo esterno. Il trasferimento da Firenze, in cui ero molto attiva nella scena artistica, verso Roma mi ha portata a cominciare da capo e non ne avevo la forza. Quindi mi sono chiusa, continuando a dipingere, poco, solo per me stessa. Poi per caso mi sono trovata ad una serata di MArteLive e vedendo gli artisti dipingere live si è risvegliata in me la voglia di “uscire”. Mi sono iscritta l’anno successivo, una sfida per me stessa. La vittoria è stata totalmente inaspettata, dato il carattere cupo e violento delle mie opere, mai avrei pensato ad un primo posto. Durante tutto il percorso di MArteLive, dalle selezioni alla premiazione, ho avuto modo di incontrare persone meravigliose, sia artisti che addetti ai lavori, che mi hanno arricchita. Credo sia questa la vittoria più importante.
Quali saranno i tuoi progetti futuri?
I progetti non mancano, collaborazioni, esposizioni e performance. Quello che mi manca è il tempo, io mi definisco una Punk Housewife e divido la mia vita artistica tra il lavoro e la gestione della mia famiglia, mio marito, i nostri tre cani e il mio maialino Francis Bacon… nella mia casa c’è sempre da fare…
Hai già in mente una nuova performance? Ci puoi anticipare qualcosa?
“Schwarze Traum” è una performance da far crescere e coccolare, sento di volermi dedicare ancora molto a lei. Da qualche settimana però ho in mente una nuova performance, ma è ancora tutta dentro la mia testa e per ora rimane nella mia testa… Sennò Togaci, che mi sta aiutando tantissimo e alla quale sarò sempre grata, mi cazzia!
E che Loverismo sia!
Mauro Tropeano
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