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Zen Circus: siamo nati per subire?

ROMA- Il 17 novembre l’umidità davanti al Lanificio è direttamente proporzionale all’entusiasmo delle persone presenti davanti al palco: si aprono i battenti del variopinto circo zen per l’ultima delle due serate romane di presentazione di Nati per Subire, disco uscito lo scorso 11 ottobre, e ad aspettarci è una performance che conferma i riflettori che li investono (purtroppo solo) ultimamente.

Dopo una breve ma intensa esibizione dei Fast Animals and Slow Kids, ad annunciare il prossimo ingresso sul palco è l’intro di “Nel Paese che Sembra una Scarpa”. Sembra lunghissimo. Sul palco c’è un armamentario di sei chitarre, tra cui i due bassi di Ufo e la famosa Jazz Electro Acoustic nera di Andrea Appino (presentata quest’anno ai MEI), e la particolare batteria minimale di Karim Qqru. Poi i tre toscani entrano in scena e cominciano a suonare.
Tra i buoni propositi iniziali degli Zen Circus che ricordo aver letto da qualche parte, c’era il voler trascinare per i 15capelli il cantautorato italiano nel rock trasversale. Beh, stasera intanto hanno trascinato parecchie persone e a sole cinque settimane dall’uscita dell’ultimo lavoro discografico i testi sono già cosa vecchia, risaputa, tutti li cantano a squarciagola.
Loro, i tre folk punk street rockers, rinfrescano prima la memoria dei presenti con “Vent’anni”, dello splendido disco che fu Villa Inferno (2008, realizzato con Brian Ritchie dei Violent Femmes), e allestiscono un calderone di passato e nuovo rilasciando con il contagocce i nuovi pezzi. Un po’ per le aspettative che vorticavano sulla loro nuova uscita, un po’ per sindrome da mamma chioccia che protegge bene i nuovi nati ponendo barriere morbide fatte di vecchie glorie. E’ così che propongono “Atto Secondo” ancorato a “Gente di Merda” e “We Just Wanna Live”. E poi i benvenuti, finalmente: «l’ultima volta che ci siamo visti vi avevamo lasciati in un posto, non so se vi ricordate…» e quindi “Andate Tutti Affanculo”. Tra “L’Amorale”e “Punk Lullabye” si può arrivare alla conclusione che un punk temperato, senza dover essere distruttivo per forza, è possibile anche accostarlo senza stridere ad un suono che continua ad essere irriverente anche nelle sue flessioni pop o folk.
Sparisce per un po’ il nuovo disco. Il pubblico deve prima superare qualche altro test, come “L’Egoista” del disco precedente. Ok, superato anche questo. Un ragazzo chiede “Chicken Factory” (2002) e, nonostante lo stupore di Appino nel trovare un fan della prima ora, devono accontentarlo con la nuova “I Qualunquisti”. «I ventenni sono apposto, ora parliamo degli altri» quindi “Vecchi Senza Esperienza” e, sentendosi obbligati a parlare anche di loro stessi (parole loro eh!), “Figlio di Puttana”.

Coesione sul palco, democrazia stilistica nella musica e naturalezza espressiva che li porta anche a sovrapporsi in qualche discorso, pur senza l’intenzione di prevaricarsi. Brevi chiacchiere tra un pezzo e l’altro, qualche scambio di battute troppo toscane per essere capite da tutti e un autorimprovero di insegnare un linguaggio volgare. Si lamentano di essere stati definiti diseducativi a Treviso, ma, nel dare una sigaretta ad una ragazza che gliel’aveva chiesta, il chitarrista non nasconde di sentirsi un po’ Veltroni. Politicamente scorretto a parte, il loro show scorre tranquillo tra pogo, ironia, vecchi ricordi e raggiunge uno dei momenti apice con l’accelerata edificante di “Vana Gloria” (2008) e con il suo finale ben più che delirante.
6Venuti per presentare Nati per Subire, gli Zen Circus ne approfittano anche per riempire di domande il pubblico: «molti ci dicono che puntiamo il dito, no, noi puntiamo il dito a voi, perché voi ci dovete dire se siamo nati per subire, ma soprattutto se la democrazia semplicemente non funziona. Allora?» e quindi dalle loro parole parte la ballata sarcastica del nuovo disco che rallenta per un po’ il ritmo, “La Democrazia Semplicemente Non Funziona”, durante la quale si alza qualche accendino, ci sono brevi incursioni di armonica, e si lascia la conclusione al fischio sapiente di Karim.
Si cambia ancora tono con “Ragazzo Eroe” e “Il Mattino Ha L’Oro in Bocca”. Una massa indistinta di persone canta insieme agli Zen Circus come si fa con gli inni nazionali. E, anche se meno irriverenti di altre loro performance, nei momenti più forti non è difficile vedere il zappiano Karim suonare la batteria in piedi o seduto con i piedi sullo sgabello, Ufo che si contorce in ottimi assolo e Appino che carica corde e asprezza. Certo non manca il tempo per i buoni sentimenti, ed ecco allora “Canzone di Natale”, senza la telefonata allo spacciatore Abdul (di cui si annuncia il triste arresto), in cui il batterista si divide catarticamente tra una languida chitarra e una birra bionda.
Sento le più variegate imprecazioni dopo il loro saluto di buonanotte. Effettivamente sembrava quasi un saluto definitivo con tanto di tecnici addestrati bene a fingere di smontare gli strumenti. Poi risalgono sul palco, i tecnici passano le chitarre a Ufo e Appino che attaccano “Milanesi al Mare” e il finale, quello vero, di “Nati per Subire” con 7 minuti di panico. Loro vanno via e una chitarra campionata continua ad andare facendo sperare in un loro ritorno. Invece l’intervento, fatale questa volta, dei tecnici mette fine all’attesa, segnando la fine di questo concerto di un’ora e mezza a cui è mancata la battuta finale.

Emiliana Pistillo
Foto di Davide Di Santo

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