La voce di Caruso nel cuore della giungla
ROMA- 30 Settembre 2011. Teatro Quirino gremito. Sul palcoscenico 21 attori: i detenuti della Sezione G8 del Carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Tranquilli, non parleremo di recupero dei detenuti e re-intregazione dei reclusi nella società. Parleremo di artisti emergenti.
Della loro voglia di stare su quel palco e fare un ottimo lavoro. Perché è questo ciò che abbiamo visto noi spettatori: un ottimo lavoro fatto con passione e impegno. E’ una storia di scoperte, di passione, di un folle sogno di un folle uomo, dell’ossessione di uno che diventa realtà di tutti.
Lo spettacolo La leggenda di Fitzcarraldo racconta l’epopea dell’avventuriero irlandese Brian Sweeny Fitzgerald, detto Fitzcarraldo, vissuto tra fine dell’800 e i primi del 900, che perseguì l’ambizioso progetto di costruire un Teatro dell’Opera in mezzo alla foresta amazzonica. Per realizzare questo sogno, egli ingaggia un equipaggio di squattrinati marinai a cui promette una cospicua ricompensa in denaro.La nave parte e, durante il pericoloso e rocambolesco viaggio, i marinai, sbirciando tra i bagagli di Fitzcarraldo, scoprono libretti d’opera e dischi in gommalacca. Si avvicinano a questo nuovo mondo con curiosità e una piccola dose di sospetto. Cominciano a leggere i libretti, commentarne le scene, appassionarsi alle storie, chiedersi come andranno a finire. Come le fasi iniziali di un amore. Trovano poi anche il suo grammofono, e ascoltano, “sentono” con cuore, testa e vene, le voci di Maria Callas e Caruso. Diventano familiari. Diventano parte del loro cuore. Si sentono migliori, lo sono. Si sentono parte di un progetto speciale e pazzesco, e, arrivati nella giungla, fanno fatica a restituire i dischi e i libretti che ognuno di loro aveva “preso in prestito”, fanno fatica a lasciare a Fitzcarraldo il suo sogno. Vogliono condividerlo, ormai è anche il loro. E così decidono che portare la voce di Caruso nel cuore della giungla, sarà anche merito loro.
Pertinente la scelta dello spettacolo: un gruppo di uomini costretti dalle circostanze a condividere uno spazio in comune, in questo caso la nave che li porta verso la foresta amazzonica, che scopre un nuovo mondo nelle note. Come il mare li spinge verso un mondo inesplorato, così la musica li trasporta verso emozioni mai provate prima. Come i marinai scoprono l’opera, così i nostri attori scoprono il teatro.
Tutto ciò è stato possibile grazie alla collaborazione di diversi soggetti coinvolti, che non hanno lesinato in energie e cura per il progetto.
Il laboratorio all’interno del carcere è stato condotto interamente dal Centro Studi Enrico Maria Salerno ed è rientrato nel progetto del Teatro Quirino In scena diversamente insieme, curato da Alvaro Piccardi. Il progetto che si rivolge a quegli strati sociali che vivono un particolare stato di isolamento, solitudine e disagio. Geppy Gleijeses, presidente del Teatro, è parte attiva in questo lavoro.
La drammaturgia e la regia sono state curate con attenzione e sensibilità da Laura Andreini Salerno e Valentina Esposito. La Fondazione Roma Terzo Settore ha sostenuto per il secondo anno l’iniziativa.
Una bella squadra insomma, e un progetto fortemente voluto e curato da più soggetti. Attori/detenuti inclusi. Perché queste persone non si sono limitate ad imparare un copione. L’hanno fatto loro. E il risultato finale è stato 10 minuti di applausi ininterrotti, il sorriso e l’orgoglio sui visi di mogli, figli, nipoti in sala. Sorriso e orgoglio degli attori sul palco, liberi da tutto per una sera. L’emozione e la commozione infinita di tutti noi in sala. In tre parole: un vero successo.
Pina Ianiri
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