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Unicità d’Italia, più rari che unici

Omino_Shiba-ok
[GRAFFI(A)TI AD ARTE]

Omino_Shiba-okRoma, caldo africano, io sto per andare a prendere un aperitivo serale al MACRO e a vedere la mostra Unicità d’Italia presente fino al 25 settembre anche presso Palazzo delle Esposizioni.

Durante il viaggio, sull’autobus sale una signora minuta, sembra asciugata dal caldo più che dall’età, mi scopro incredula nel sentire la sua voce così forte e acuta. La signora esausta dalla calura si lamenta con il conducente dell’autobus, lei ha aspettato sotto il sole, perché in pieno centro, piazza San Giovanni, non ci sono pensiline, la signora fuori di sé sputa i quaranta minuti attesi sotto un caldo che è atroce anche alle 19.00. E lui non curandosi della scenata che gli è stata imbastita, risponde: “A signo’ ma avevamo mica ‘n’appuntamento?”. Sì, questo può accadere solo in Italia, dove accadono cose incredibili.
L’aperitivo al MACRO, nel suo punto ristoro, è posticcio e per intero proveniente dal congelatore, ma non eravamo i re foto5della cucina mediterranea? Non amavamo stuzzicare le verdure e il pinzimonio fresco, l’estate non sarebbe la stagione del crudité? Mi sa che questa unicità se la sono dimenticata i ristoratori.
È pur vero che il mio interesse era per la mostra Unicità d’Italia, Made in Italy e identità nazionale 1961/2011 Cinquant’anni di saper fare italiano, quindi il cibo non era fondamentale, ma noto una coerenza: la mostra inizia, come l’aperitivo, con della roba vecchia presa magari non dal congelatore, piuttosto dalla naftalina.
Una serie di cartelloni pubblicitari che mi riportano all’iconografia in cui è cresciuta mia madre, riconosco le pettinature che portava la mia zia modaiola e mi incanto rispetto alla genialità immediata di certi messaggi. Un tocco di perbenismo, colori ben decisi, fotografie che si confondono con colori pop, la presentazione un po’ maliziosa e molto buonista di un’Italia che, dopo la rinascita del dopoguerra cercava di negare la crisi petrolifera del ’73.
Noi italiani siamo rimasti sempre gli stessi! In questo siamo veramente unici! Continuiamo anche oggi a negare la crisi e a credere a tutto quello che ci viene detto dalla TV e dai giornali. Su internet sono tutti solo dei sobillatori, ognuno qui può scrivere quello che vuole, meglio considerare vero quello che ci viene indicato come notizia certa e sicura dai giornali certificati, pagati da uno stato che ha qualche magagna da nascondere o da editori forse un po’ di parte, che, però, ci fanno credere nonostante tutto che siamo ancora il Bel Paese.
Il paese dove d’estate si andava in vacanza con la Cinquecento che è presente in questa mostra nel modello nuovo, rosso fiammante e che ha conservato solo la parvenza della piccolissima automobile in cui magicamente si infilava tutta una famiglia. Mio zio mi ha raccontato di un suo viaggio da ragazzo in otto in una Cinquecento color grigio topo di nonno, e mi costa fatica immaginare solo lui in quell’abitacolo, zio era il più alto in famiglia.

Nel vetro, incastonati e protetti gli oggetti che usiamo tutti i giorni, assieme ai sogni frutto dell’l’ingegno dei designer più ricercati, che tanto vorremmo avere in casa. Sempre che fosse possibile comprare una casa! Gli stipendi diminuiscono e non sono stabili, le banche non fanno più mutui e il prezzo delle case non scende. Noi convinti proprietari del mattone, piuttosto che sminuirlo aspettiamo che la crisi passi, prima o poi passerà: ah popolo di ottimisti!
foto3Ma se tutto lo stipendio lo si riversa negli affitti, il massimo della spesa la si può sostenere all’IKEA e allora tutte quelle unicità realizzate dalla Kartell rimangono per noi solo plastica a prezzi tropo alti, meglio il compensato pressato in Svezia.
Nello specifico la mostra presso il MACRO, Marcando la Storia: un viaggio in 60 anni di vita italiana, dal 1960 al 2020, racconta l’ultimo cinquantennio della storia italiana in oggetti che sanno giocare con i nostri mali più gravi: la malinconia e la capacità di riempirci di orgoglio. Ma poi compriamo prodotti made in China!
Tanto ormai quasi tutti i marchi italiani, pur di non pagare al meglio i loro dipendenti, spostano le fabbriche o minacciano di farlo per produrre a costi ridotti. Un cane che si morde la coda! In Italia il potere d’acquisto si abbassa e nessuno mai potrà più comprare un paio di scarpe di Ferragamo e provare così a sognare di essere Marilyn ne Gli spostati. Una telefonista SIP del 1968 poteva sognare di avere una casa e non un sottoscala e magari mettere da parte i soldi per la pelliccia, che all’epoca rappresentava l’appartenenza alla classe bene, in un’Italia che rimane sempre un po’ volgare. Le telefoniste SIP, sono qui presenti nelle foto che le ritraggono come giurate del concorso Canzonissima, nell’edizione condotta da Enzo Tortora, un altro triste primato della giustizia italiana, e ci riportano all’altrettanto triste fenomeno dei call center con i telefonisti maltrattati e costretti a rompere le scatole a qualsiasi ora del giorno per essere pagati due soldi e sorbirsi le peggiori risposte da parte dei clienti asfissiati, non riuscendo neanche a fornire nessuna assistenza, perché le telefoniste della SIP non esistono più! Adesso ci sono i ragazzi che lavorano due mesi in un’azienda di servizio con una formazione di una settimana, ma vogliamo mettere con la gentile voce della signorina della SIP?
Quindi sono caduta anche io nella nostalgia, lo scopo della mostra è stato raggiunto, e mi rendo conto che lo sguardo al modernariato che adesso va tanto di moda è solo il nostro modo per sentirci più sicuri, per ricordarci che sapevano essere unici nel male ma anche nel bene, almeno ci provavamo in qualche modo!

MACRO Testaccio, paIazzo Orazio Giustiniani 4, tutti i giorni dalle ore 16.00 alle 00.00. Lunedì chiuso.
macro@comune.roma.it

Shiba

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