Riccardo III chiude il Globe Theatre
ROMA- Il Globe Theatre chiude la stagione teatrale con uno tra i personaggi più cattivi di Shakespeare, Riccardo III, in scena fino al 18 settembre.
A luglio il mago Prospero (Giorgio Albertazzi) ha raccontano un momento di incertezza e di destabilizzazione, per tutta l’estate abbiamo dimenticato le sue parole complici gli intrighi e i sollazzi delle commedie: Pene d’amor perdute, Sogno d’una notte di mezza estate e La dodicesima notte. Sul finire dell’estate, per chiudere le porte del teatro di legno di Villa Borghese, l’ansia di Prospero ha preso forma nella disperazione, offrendo il dramma di Riccardo III.
Maurizio Donadoni interpreta un Riccardo III forte e gagliardo nella sua cattiveria perenne, nel suo cinismo che, nonostante il buonismo e i giudizi facili, non ci risulta tanto insensato. Shakespeare ha dipinto un assassino avido di potere che si nutre di lotte intestine e del sangue dei suoi stessi parenti e, comunque, il suo odio per il mondo ci sembra quasi comprensibile. La malformazione di Riccardo III, gobbo e storpio lo ha allenato al dolore e la sua rivalsa nei confronti del mondo, che non lo ha mai amato, è la distruzione di tutti i cardini che lo reggono. Sovvertendo una realtà che non lo ha mai favorito, Riccardo III sente l’esigenza insita di cambiarla a suo pro.
Nella regia di Marco Carniti, il protagonista mescola le sue esigenze di potere e l’ovvia scia di sangue, che lascia dietro di sé per raggiungere lo scopo, in un criterio contemporaneo con un linguaggio che non stanca lo spettatore, nonostante le tre ore della durata dello spettacolo.
In scena tutto è metallico, lo stesso disegno luci, mescolando il blu al rosso, unito alla sequenza dei suoni lucenti delle spade, diventa parte della stessa scenografia.
Il metallo è lucido, freddo, utile e sicuro, esattamente come lo spirito di Riccardo III.
Una resa scenica che ha rappresentato in toto come il duca di Gloucester fosse spinto all’odio, perché incapace di provare altro. La sua è un’ignoranza del bene, è il dramma di una nazione, di una famiglia e di una madre, la Duchessa di York (Palia Pavese) che con la sua voce carica di disperazione, più che per la morte che la circonda, piange per la sua responsabilità nell’aver dato vita a chi ha generato tanta morte. La voce, che fu di Angelica Huston ne La Famiglia Addams, si intinge nel sangue della tragedia shakespeariana e scaglia le sue maledizioni nel rosso della scenografia, espressione immediata di tutta la trama dell’opera teatrale.
Carniti crea un adattamento che, grazie alla traduzione contemporanea pur non sciupando l’antico dramma, catapulta, con espressioni e sottigliezze, il Riccardo III in una contemporaneità che ci rimette in discussione rispetto ai rapporti con il potere e alla desolazione attuale nell’incapacità di reagire.
L’uomo che non sa amare, il deforme di Shakespeare che si serve della bruttezza fisica per esplicare ancora di più la disperazione dell’anima contorcendo il personaggio letterario e trasformando quello storico, il re salito al trono nel lutto non può che reagire al male dell’ipocrisia con la crudeltà dei gesti. Il dittatore concreto, che trova l’immediata eliminazione dei problemi, e non sa “fare il cascamorto per ogni donna che sculetta”. Lui, il deforme assassino riesce a conquistare il cuore della donna che perirà in un letto bagnato dal sudore degli incubi, lui che non sa avvicinarsi alla bontà che riconosce nel fratello Giorgio, sua prima vittima. Lui, il potente che non sa che consumarsi nella smania e nella brama, è la causa della sua stessa fine e la chiave di volta della maledizione di Margherita d’Anjou, la vecchia regina spodestata che, nell’interpretazione della giovane Melania Giglio, si perde in nenie e cantilene poco convincenti, rispetto alla potenza della figura della regina che si ciba del dolore di chi l’ha trasformata in un’esiliata. La regina Margherita avrebbe dovuto preparare il pubblico come una Cassandra addolorata, trasformata in strega, non dall’età, ma dalla sua stessa perfidia ripagata con la medesima moneta, l’antico potere l’avrebbe dovuta rendere fiera, mentre sotto la parrucca bianca e l’imponente costume disegnato in modo semplice ed efficace da Maria Filippi, la Giglio spiega la trama che si sta per svolgere e i fatti che dovranno accadere, anticipando l’assioma: “Il peccato ha la sola ricompensa per il peccato”, come concluderà il corrotto e pentito duca di Backingham (Gianluigi Fogacci), e lo fa contorcendosi in una nenia vocale perdendo la verve della megera e non incantando come avrebbe dovuto fare una strega resa potente dall’odio.
Assolutamente meritevole è la recitazione e la presenza scenica, dura e imponente, di Maurizio Donadoni, mentre delicata è la figura bianca di Federica Bern, che con lady Anna chiude magistralmente la sua presenza quasi costante al Globe Theatre nell’estate 2011.
Le lotte di una tragedia del sangue si stagliano sui costumi e sulla scenografia dello stesso regista, che le fa diventare la cornice semplice ed efficace di una resa teatrale indubbiamente ben riuscita.
Rossana Calbi
Foto di Arturo Carniti
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