Il Flauto Magico secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio
ROMA- 22 settembre 2011: l’aria è ancora calda, la piazza antistante l’entrata del Teatro Olimpico di Roma è piena di gente, di tutti i colori, di tutte le età, di tutte le nazionalità. Questo di per sé, è già un buon inizio.
Poi con la memoria vago a ciò che ho sentito dire di questo spettacolo così fuori dai canoni: “una performance come un ottovolante musicale di stili e generi, e con una rinfrescante mancanza di rispetto per Wolfgang Amadeus Mozart”. Una sfilza di città europee ha ospitato quest’opera rinomata in tutto il mondo prima di approdare nella Capitale: Parigi, Lione, Atene, Barcellona, Aix en Provence, Amsterdam e Rotterdam.
A ritmo di jazz, rap, mambo, pop toccando di striscio le culture musicali di quasi tutto il mondo, l’ormai storica Orchestra di Piazza Vittorio diretta da Mario Tronco (che con Leandro Piccioni ha curato anche la rielaborazione musicale della celebre opera di Mozart) propone un nuovo confine valicabile tra musicisti, orchestra e pubblico, creando una commistione quasi geniale tra la rigidità dell’Operetta classica e la coloritura vivace della nuova drammaturgia.
Quello che ci troviamo di fronte dentro al teatro è un Flauto Magico tutto nuovo: riletto, reinventato, rielaborato, divertente, dissacrante, spiritoso eppure ricco di momenti di pathos, che diventa quasi una trasmissione orale di quelle tipiche dei griot (cantastorie) africani, tra parole e musica, narrazione e canto.
Già il primo impatto è disarmante, si avverte la portata innovativa del progetto e si percepisce dai colori che vibrano sopra il palco nelle originali scenografie proiettate (Daniele Spanò e Gian Claudio Pallotta), fatte di acquerelli che ricordano i dessins animés, le illustrazioni delle fiabe e i pannelli recitativi dei fotoromanzi (opera di Gianni Fiorito).
La magia della musica e l’atmosfera sognante della storia si contrappone alle capacità indiscusse dei musicisti, ed è così che nasce un racconto che lascia con gli occhi piantati tra il palco e il libretto, tra il cuore e la mente.
Per i puristi del genere, o anche solo per i puristi di razza c’è di che rivoltarsi nella tomba, ma forse è anche questo a farci piacere il progetto ancora di più: l’Orchestra di Piazza Vittoria è una realtà unica nel suo genere in tutta Europa e porta in dote una testimonianza importante, quella di culture, musiche e religioni diverse, che insieme creano un prodotto artistico di estremo valore.
E lo dimostra una volta di più in questa trasposizione ambiziosa, in cui vicende e personaggi classici si trasformano e diventano una naturale prosecuzione della società. Lungi dall’essere una trasposizione ed una esecuzione integrale dell’opera di Mozart, spesso troviamo in nuce le melodie originali, riconoscibili, ma che sono state sfrondate dagli orpelli e dalle parti virtuosistiche per intrecciarsi con creazioni ex novo dell’Orchestra.
Quel che balza all’occhio (e all’orecchio) in maniera evidente è la multiculturalità del lavoro che ne viene fuori: alcune arie rimangono intatte nella loro lingua originale (il tedesco), come per esempio quella della Regina della Notte (Maria Laura Martorana) che si appella a Tamino (Ernesto Lopez Maturell) affinché salvi sua figlia Pamina (Sylvie Lewis) dalle grinfie di Sarastro (Carlos Paz), o quella dello stesso Sarastro che si appella a Iside e Osiride affinché Tamino superi la prova. Nel resto della partitura si passa indifferentemente dall’arabo al portoghese, dallo spagnolo all’inglese, dal wolof all’italiano in una commistione di lingue che arricchisce l’opera di suoni armoniosi, di interpretazione e sentimento e che neanche per un secondo rende complicato seguire la story.
Il Narratore (Omar Lopez Valle– tromba e filicorno) tira le fila del racconto e tiene inchiodati alle sedie gli spettatori con la sua commistione simpatica tra italiano maccheronico, napoletano spinto e simpatia naturale. Allo stesso tempo sono gli stessi strumenti ed i musicisti a tramutarsi in personaggi, a raccontare l’impresa e ad arricchire la storia di suoni e sensazioni, dando forza e pathos alla scena. Una fiaba per bambini (e ne erano presenti tanti) che incanta gli adulti con suoni e colori i più diversi, e che parla di amore universale, di amicizia, di saggezza scavalcando il misticismo originale dell’Opera mozartiana per approdare ad un presente ricco di problematiche in cui, però, ci si rende conto effettivamente che la possibilità di un “E vissero tutti felici e contenti…” forse è ancora possibile: la buona musica è un buon modo di far pace col mondo.
L’Orchestra di Piazza Vittorio:
Houcine Ataa (Tunisia) voce – Monostatos
Peppe D’Argenzio (Italia) sax baritono e soprano, clarinetti
Evandro Cesar Dos Reis (Brasile) voce, chitarra classica e elettrica, cavaquinho – Ragazzo
Omar Lopez Valle (Cuba) tromba, flicorno – Narratore
Awalys Ernesto Lopez Maturell (Cuba) batteria, congas – Tamino
Zsuzsanna Krasznai (Ungheria) violoncello – Dama
John Maida (Stati Uniti) violino – Dama
Gaia Orsoni (Italia) viola – Dama
Carlos Paz Duque (Ecuador) voce, flauti andini – Sarastro
Pino Pecorelli (Italia) contrabbasso, basso elettrico – Ragazzo
Raul Scebba (Argentina) marimba, percussioni, timpani – Sacerdote
El Hadji Yeri Samb (Senegal) voce, djembe, dumdum, sabar – Papageno
Dialy Mady Sissoko (Senegal) voce, kora – Ragazzo
Ziad Trabelsi (Tunisia) oud, voce – Messaggero della Regina della Notte
e i musicisti ospiti:
Leandro Piccioni (Italia) pianoforte
Maria Laura Martorana (Italia) voce – Regina della Notte
Sylvie Lewis (Inghilterra) voce – Pamina
Sanjay Kansa Banik (India) tablas – voce
Fausto Bottoni (Italia) trombone, euphonium – canto
Edyth Cristofaro
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