The Tree of Life, regia di T. Malick
Esistono molte citazioni meravigliose all’interno del nuovo film di Terrence Malick, non facili ovviamente da selezionare e suddividere. Le voci off screen dei nostri protagonisti ci sussurrano, lungo tutta la pellicola, i loro pensieri, le paure, le varie esperienze di vita vissute tra incomprensioni e vividi giochi d’infanzia.
Eppure quella che mi sembra più esaustiva è una sola: “ho vissuto per anni nell’attesa di qualcosa. Poi quel qualcosa è divenuto l’attesa…”, ironico gioco di parole che si è riversato sugli spettatori, uniche tragiche vittime che hanno dovuto attendere ben 138 minuti prima di uscire dalla sala del cinema (alcuni non hanno nemmeno visto il secondo tempo).
The Tree of Life, vincitore della Palma D’oro al Festival di Cannes 2011, narra le vicende di una famiglia Americana degli anni Cinquanta, gli O’Brien.
Il primogenito Jack (Sean Penn), ormai cresciuto e divenuto un famoso architetto, ripercorre un lungo viaggio verso il passato, dalla morte del fratello al rapporto conflittuale avuto da sempre con il padre (Brad Pitt), un musicista fallito, in netta contrapposizione con quello docile e protettivo della madre (Jessica Chastain).
Tra passato, futuro ed immagini che riconducono al seme dell’universo, la storia degli O’Brien toccherà i più intimi e nascosti cardini dell’esistenza.
Probabilmente, non appena la gente avrà visionato alla lontana il trailer di The Tree of Life o avrà studiato per qualche secondo la locandina del film, gli sarà subito venuto in mente un genere alla Eastwood, alla Benjamin Button e qualsiasi altra cosa che non potesse mai ricollegarsi ai precedenti lavori del regista Malickiano.
Di certo non si sarebbero mai aspettati di entrare in sala, vedere una citazione biblica, e affrontare venti minuti e passa di puro documentario sulla natura: nessuno ha mai cercato di spiegare a Malick che lo spettatore va fregato solo a fine pellicola? Con The Tree of Life si tende così a sfiorare un genere che viene più di una volta classificato come “cinema sperimentale”. Difatti se si percorre la brevissima filmografia di questo genio del male, si noterà che da La sottile linea rossa a The New Word, lo stile e le tematiche vengono più di una volta riprese, per conciliarsi alla fine in quest’ultima quinta e grande opera che crea, diversamente, uno scorrere inquietante e ripetitivo di immagini del mondo. Compiamo in questo modo un lungo cammino, che parte dalla creazione del mondo, ai dinosauri, fino al prezioso dono della vita umana, ritrovando sempre simboli comuni a Malick, come grandi alberi e poetiche altalene.
Nulla difatti si può dire a Malick sulla sua straordinaria bravura registica, nell’essere commovente al punto giusto e riuscendo a mostrarci uno spaccato di vita di una famiglia con problemi comuni, ma studiati
minuziosamente attraverso lo sguardo di uno giovane e non troppo ingenuo Jack (il talentuoso Hunter McCraken). In questo modo è proprio la storia principale della famiglia che pare interessare all’interno del film, che ci snocciola pian piano la crescita dei tre fratelli e dell’ambiguo comportamento del padre che da violento dittatore, si alterna nel mostrare l’estremo quanto tenero bisogno di essere voluto bene dai suoi stessi figli.
Eppure cosa definisce questo film un prodotto poco riuscito? Non si parla solo dello spettatore medio che ormai, all’interno del cinema, si aspetta di poter visionare un altro genere di spettacolo, come fuga dalla realtà di tutti i giorni, ma anche la rabbia che viene scaturita dalle scene più belle, sacrificate per la maggior parte a quello che, a parere personale, Malick aveva realmente il desiderio di fare: un documentario. Non a caso lo stesso regista, sta sviluppando un documentario IMAX, intitolato Voyage of Time, con la voce narrante di Brad Pitt, che dovrebbe raccontare la vita dell’universo dalla nascita fino al suo crollo, aggiungendo in definitiva il restante di ciò che è stato già visionato in The Tree of Life, nella sua sequenza cosmica.
E’ perciò doveroso ammettere che, oltre alla bravura dei protagonisti, l’interpretazione sublime di Brad Pitt e la sapiente divisione degli ambienti, dai calorosi angoli della casa, ai freddi ed altissimi palazzi del futuro, The Tree fo Life al suo completo finire, non sia altro che un grandissimo progetto pretenzioso, ricolmo di stupende immagini patinate dell’universo, che ci richiama antichi capolavori come 2001: Odissea nello Spazio (nella sequenza “dinosauri” sembrava citare Jurassic Park, ma vi giuriamo che non è così), e che ci lascia decisamente sfiniti ai titoli di coda.
Alessia Grasso
Alessia Grasso, cinema, martelive, martemagazine, Recensioni, T. Malick, Terrence Malick, The Tree of Life