Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare, regia di R. Marshall
Torna ancora una volta (ahimé) Jack Sparrow e volontariamente omettiamo un ‘Capitan’ poiché il nostro Johnny Depp in codesta novella avventura è declassato – a dispetto della sua nomea – a semplice mozzo della funerea ‘Queen Anne’s Revenge’.
La nave del temibile Edward Teach (in arte ‘Barbanera’; interpretato da Ian McShane) è alla ricerca della fonte della giovinezza capace di dispensare anni di vita a chi ha la fortuna di bere da uno dei due antichi calici d’argento spagnoli, e nello specifico quello contenente la lacrima di un’autentica sirena proveniente dai freddi abissi oceanici.
Le regole del gioco sono subito chiare allo spettatore, senza sotterfugi e con dialoghi che si giustificano di continuo, rendendo la trama di facile comprensione anche se la costruzione drammatica risulta flebile e scialba, nonostante le azioni e gli scopi di ogni personaggio si evincano dalla semplice caratterizzazione di partenza dei sopracitati.
La profondità psicologica di ognuno di essi – Capitan Sparrow compreso – è da film d’animazione di nuova generazione (ed è qui che probabilmente si rintraccia maggiormente lo zampino della Disney), ci si domanda quindi se la realizzazione in live-action sia stata strettamente necessaria al fine di portare il progetto nelle sale.
Non ci si rilassa mai tra un combattimento rocambolesco e l’altro, tuttavia i siparietti conditi di faccette e micro-pantomime, che oramai hanno reso quello di Depp un brand, intrattengono anche se spesso si rivelano un po’ troppo prevedibili e ridondanti nella loro messa in scena telefonata e, nella stragrande maggioranza dei casi, addirittura forzata.
La regia è onesta e la computer grafica decisamente più plausibile del precedente capitolo, ma nonostante questo le coreografie dei combattimenti non risultano poi così emozionanti e memorabili, tranne forse per quanto riguarda il colloquio di Jack con il re di Scozia e d’Inghilterra, nel quale ci viene ri-proposto un Barbossa venduto alla marina reale, e nella prima apparizione del personaggio di Angelica (Penelope Cruz), in un incontro con Depp che, personalmente, mi ha ricordato molto la scena dello specchio di Johnny Stecchino in salsa blockbuster.
Alcuni nodi della sceneggiatura, a fine pellicola, restano inspiegabilmente insoluti: come ad esempio la sorte del predicatore e della sirena alla quale viene strappata la sofferta lacrima ai fini del rituale di lunga vita. Deus ex machina a go go e nessuna conclusione, nonostante la considerevole durata superiore alle due ore (che con il 3D diventano 6 in termini di emicrania).
Nessuna apparizione, e tantomeno menzione, dei personaggi che furono di Keira Knightley e Orlando Bloom. Come se non fossero mai esistiti nel costoso immaginario edificato (a suon di pecuniae) dal buon vecchio Bruckheimer. Nonostante questo vi è una fugace apparizione di Keith Richards, ancora una volta nei panni del babbo di Jack. Decisamente non necessario.
Luca Vecchi
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