ǾEN: oggi non si osa osare
ǾEN (Zero Estensioni Neuronali) quasi a voler significare che bisogna spegnere il cervello e far parlare il cuore per far uscir fuori l’intensità della musica e per valorizzare le particolarità nella composizione e negli arrangiamenti.
Scoperti da Guido Elmi (produttore di Vasco Rossi) che nel 2007 ne produce alcuni brani per la sua etichetta NOPOP, gli ØEN mirano decisamente a sperimentare tutte le forme della “canzone”.
L’attuale formazione è composta da Simone Patrizi (voce) e Piero Ducros d’Andria (bassi/chitarre), entrambi musicisti con esperienze molteplici e poliedriche alle spalle.
Tra accordi alterati e sospesi – tra pop-rock e canzone d’autore –, i loro brani sono un invito all’abbandono, al viaggio profondo nell’emotività, nell’intimità più vera dell’essere persona.
Radicali, essenziali, a tratti cinici, i loro testi raccontano dell’imperfezione e delle paure che vivono in ciascuno, schivando il pensiero abitudinario e mettendo in moto una ricerca poetica senza compromessi, piena di rotture e nuovi inizi.
La loro musica, sull’orlo dell’inconscio, restituisce, con immagini intense, crude e spesso visionarie, un mondo di fragilità umane “narrate” tra suoni e costruzioni armoniche futuristiche e tradizionali: al servizio della musica per la necessità di raccontare.
Piero, Simone chi sono gli ǾEN (Zero Estensioni Neuronali)?
Piero: Due persone che si sono trovate a voler fare, dire e condividere cose di un certo tipo in un momento particolare della vita di entrambi. Per pura esigenza personale.
Ci siamo detti ”proviamo?”, ci siamo risposti “sì, ma deve essere speciale!”.
Oggi siamo anche amici che suonano e scrivono solo cose di cui si ha la necessità di parlare, magari (per noi) nel modo più gradevole e maturo possibile.
Mondi opposti con esperienze totalmente differenti che vivono di musica. La missione di ǾEN e’ quella di proporre brani che uniscano calore, armonia, ricercatezza, immediatezza, evitando accuratamente l’autoreferenza. Qualcosa di vero che possa rimanere.
Siamo “suonautori” più che cantautori, termine che ormai e’ davvero ridondante, quasi snobistico.
Piero che influenze hai avuto nella tua cultura musicale?
Piero: Troppe, ma cito volentieri i Police come band riuscita ad unire musicista e ascoltatore: non due pianeti separati, ma la giusta coniugazione tra musica divertente da suonare e da ascoltare.
Oggi mi sembra che questa cosa si sia un pò persa, a scapito sostanziale di due tipologie di musica: genere da “camera” tipo Coldplay o genere musica “scocciata”, come molto del cosiddetto indie, cioè quel “genere” di musica per cui uno che è molto incazzato va su un palco e vomita addosso alla gente le sue frustrazioni, e questo è molto cool. Invece per me la musica è ben altro: è un bel testo con un bel canto unito ad una bella musica e ad un bell’arrangiamento. Io preferisco Peter Gabriel a Francesco De Gregori, i Police ai Marlene Kuntz, Pino Daniele che fu al Pino Daniele che è.
Ma c’è una bella differenza!
Piero: E perché?
Perché in Italia non si osa osare, forse?
Piero: In Italia se osi, non sei un genio, sei considerato altro. O meglio, sei considerato un mediocre fino a quando non hai successo commerciale e allora diventi un genio. Questa è una vera idiozia.
Simone: Però nel tempo c’è anche chi ha saputo osare, come Battiato, che all’inizio del suo percorso ha saputo proporsi con innovazione. Ma era anche un’altra epoca discografica e forse, esisteva ancora la possibilità di diventare Battiato o De Gregari, che non sono proprio persone da “singolone” da classifica.
Io direi che era proprio un periodo storico e sociale diverso…
Simone: Oggi la pazienza di ascoltare ed aspettare un buon disco non c’è più. E’ diventato tutto molto, troppo veloce. Quindi la possibilità di costruire una carriera credibile non c’è.
Piero: Diciamo pure che la maggior parte della colpa è dei discografici che non vanno più a caccia del talento, ma si fermano spesso alla commercialità della musica, ma anche noi, dall’altra parte, noi musicisti, che cosa stiamo proponendo? Bisogna assumersi le proprie responsabilità e fare dell’autocritica. Con coraggio, con fatica e con tristezza economica che a volte, non andiamo a dormire la notte chiedendoci “ma cosa stiamo facendo?”.
Che effetto ti fa, Piero, quando proponete la vostra musica e sentite che il vostro messaggio, la vostra intimità arriva alla gente che ascolta?
Pieor: In acustico tutto è molto avvolgente e per paradosso più immediato. In elettrico quando hai il “tiro” giusto la gente rimane con lo sguardo all’insù, estasiata ed anche spaventata. Quindi tu, dall’altra parte, da una parte ti senti E.T., dall’altra un imbecille e, infine, anche un Dio!
Dipende dall’umore personale?
Piero: Anche, ma soprattutto dal fatto di non riuscire mai fino in fondo a capire che cosa succede nella testa di chi ti ascolta.
Tra la velocità di un clic e la fila in un negozio per comprare il disco del tuo artista preferito, io preferisco questa seconda opzione. Ormai nei grandi store di dischi trovi principalmente album di catalogo, i Cd “classici”, come Led Zeppelin, U2. La gente ormai scarica tutto dalla Rete. Paradossalmente, però tutti hanno molto di più eppure hanno molto meno, conoscono meno, scelgono meno e finanziano anche meno. Ormai la musica vive inondando YouTube di proprie clip e si scaricano i files in formati compressi davvero penalizzanti per la resa. Sembra che la musica oggi possa avere sostanzialmente la funzione di accompagnamento al supermercato o di sfogo personale. Tutto sembra fermo ed impantanato nel ricordo di un glorioso passato che non tornerà mai più, ed allora ci va bene il “meno peggio”.
Qual è il problema secondo voi nella musica di oggi?
Piero e Simone: Che la gente nasconde i sentimenti che prova anche a se stessa, come fai a fare l’artista così? Noi non finiamo di suonare una sera senza essere stracci! Nel rispetto di questo mestiere che facciamo, scegliamo di dare al pubblico, non di tenere.
Qui l’unica cosa che si continua a fare sono i concorsi per band emergenti, ma in questi contest si continua a mettere in luce solo il clone del clone del clone perchè questo viene richiesto. Ma che senso ha? Non vediamo voglia di migliorarsi, stupirsi e ricercare. C’e’ pigrizia e sfiducia.
Vabbè, ma l’ispirazione ci sta, no?
Piero: Io credo che esista un tipo di ispirazione che si può dire negativa: non parlo delle influenze che ti spingono poi a cercare una tua strada, piuttosto di quella ispirazione che si muove nel senso del “copiare” senza inventare. Ormai l’elettronica, potenzialmente, fa in modo che tutti possano essere “artisti”, ma tutta l’intensità e la “sapienza” che alimenta la musica, dove finisce?
Qualche anno fa ti andavi a cercare le cose che non c’erano, oggi hai tutto a portata di mano: questo ci rende pigri e ci fa disinteressare senza capire niente dei messaggi che invece certi lavori potrebbero avere.
Io quando scrivo musica cerco di “parlare con Dio”, non con un amico distratto. Invece quello che sentiamo in circolazione si limita ad essere “carino”. Noi cerchiamo qualcosa di più intenso, qualcosa che potrebbe essere alla portata di tutti.
Dove stanno andando gli ØEN quindi?
Piero: Innanzitutto stiamo cercando di pubblicare il disco su cui stiamo lavorando, nonostante tutte le difficoltà che ci sono state in questi anni. E questo rappresenta già una difficoltà economica notevole. L’idea sarebbe di far diventare il progetto aperto alle donazioni dei singoli utenti, che investendo sul progetto, ne diventerebbero anche produttori effettivi!
Interessante…
Piero: Sì forse in un Paese intelligente. Non che in Italia non siamo intelligenti, solo manca il coraggio. Viviamo in un Paese in anestesia totale, gli ØEN vanno invece in direzione del risveglio.
Noi cambiamo gli arrangiamenti continuamente nei nostri live, il nostro intento è di arrivare al momento in cui si ferma la sapienza ed inizia la trascendenza. Altrimenti non c’è gusto.
Simone: E’ un bel rischio, a dir la verità. Però aumenta la consapevolezza di quel che stai facendo, noi così finiamo per tirarci massicci pezzi d’emotività addosso.
Altri progetti, magari live?
Piero: Stiamo cercando di riformare un band “elettrica”, ma non è così facile come sembra. Come dice qualcuno, noi siamo in mezzo tra la canzone d’autore ed un bel suonato, ed oggi paradossalmente chi si fa una bella cagata su un palco suona molto più di noi. Questo è un problema di chi ascolta perché vive una certa omologazione nelle sue scelte, e d’altro canto spesso non ci sono gli spazi di visibilità per farsi vedere e per ascoltare cose nuove.
Prendi per esempio Sanremo 2011: Gualazzi e Vecchioni. Il primo per quanto bravo tecnicamente ha proposto qualcosa che è già vecchio di suo. Mentre Vecchioni non ha fatto altro che citare se stesso, la sua carriera.
Simone: Io invece mi sono commosso vedendo la sua esibizione, ci ho visto dentro la potenza della parola. Toccante come l’esibizione di Mia Martini con “Almeno tu nell’Universo”. Ma lì l’uomo ha superato la canzone…
Piero: Beh torniamo a bomba allo stesso motivo: l’intensità vince o no se ha spazio?
Se metti intensità e progetto forte insieme, che dovrebbe essere l’intento comune di chi si muove in ambito musicale, potenzialmente potresti spaccare le montagne…
Piero: Io quando sento certi brani “all’italiana” però mi metto a ridere: sempre le stesse note poggiate alle parole, e mi chiedo perché? E soprattutto il “resto” dov’è?
Lo dico con dispiacere, soffro molto, noi non dovremmo sentirci di serie b rispetto a nessun inglese o americano, ma nei fatti, se non cambia la mentalità, non potrà che continuare ad essere cosi.
C’è qualcosa che vorreste dire?
Piero: Vorremmo esortare i ragazzi a dedicare un minuto della loro giornata per capire cosa stanno facendo e dove stanno andando. Ai giovani perché i trentenni sembrano già spacciati, continuando a ragionare da anziani, senza voglia di rischiare e mettersi in discussione, cercando di “aprirsi” alla musica e meno alla notorietà spicciola.
Bisogna capire che la bellezza non per forza si trova scendendo sotto casa e andando al negozio, ma te la devi andare a cercare. Ci vuole tempo, ma devi avere almeno la conoscenza di te stesso. Bisogna avere almeno un’idea ed indagarla per capire. Ci hanno tolto i sogni, ci hanno tolto la fiducia, ci hanno tolto tutto tranne la rassegnazione, e noi non abbiamo ancora detto niente. Ci autocensuriamo su tutto, evitiamo tanti discorsi, perché tanto è inutile, perché nessuno li capirà e allora si finisce per fare il “pezzo” paraculo. Ma a me, quando sento questa parola viene l’orticaria! Fare qualcosa di bello e paraculo, allora, sarebbe meglio.
Se in Italia stiamo messi con Ligabue che ha questo successo strepitoso, ed è solo una copia di una copia di una copia (sembra l’Easy Rider della Riviera romagnola), un motivo ci sarà pure! Forse la missione di genere che mi auspico per tutti è sicuramente di dare speranza, ma prima ancora di darsela cercando, azzardando, provocando.
Non sarà la nostra generazione che vedrà i cambiamenti quindi?
Piero: Forse. Ma per sano egoismo ti dico che vorremmo provare a vederli anche noi. Da un po’ di tempo a questa parte non c’è il suonare per il suonare, la condivisione, e questo ci fa impazzire perché la musica non può non essere questo. Invece ormai impera la moda del locale che suona la “sua” musica, il cantante che si crea la sua etichetta, che ha il suo pubblico e che magari suona solo per i gli amici, resta tutto così altamente autoreferenziale.
In Italia poi, malgrado la crisi musicale, è pieno di concorsi canori. L’idea imperante, dettata anche da questo meccanismo dei reality show alla Amici o alla X-Factor, è che serve farsi notare a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo costruendo un business basato sul puro sfruttamento economico del “sogno”.
Bisogna imparare a boicottare queste cose. Insomma, è meglio starsene a casa o andare a “recitare” qualcosa che poco ha a che fare con sè e quello che si fa? Non sarebbe forse meglio sperimentarsi, condividere e costruire qualcosa di più solido? Cerchiamo di diventare il cambiamento che vorremmo dagli altri.
Simone come ci vuoi salutare tu invece?
Simone: Le cipolle (fritte, che ci siamo mangiati nel corso dell’intervista N.d.R.) erano molto buone, tu sei stata molto carina, il messaggio è quello di essere se stessi sempre, mantenere la propria personalità senza farsi condizionare troppo da quello che si ha intorno, da quello che vogliono farti diventare, aprirsi alle cose sì, ma con quello che siamo e va bene così.
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Edyth Cristofaro
Edyth Cristofaro, interviste, martelive, martemagazine, musica, ǾEN, ǾEN (Zero Estensioni Neuronali)