Il Rugantino in scena a Roma
ROMA- La leggenda della famosa maschera romana (in chiave musical) torna sul palco del Teatro Sistina con l’interpretazione della coppia Brignano-Bergamo. La trama è la classica, quella della commedia musicale di Garinei e Giovannini.
Roma, anno 1830, o giù di lì. Rugantino (Enrico Brignano), giovane spaccone, arrogante e gran scansafatiche, vive arrabattando espedienti e truffe spalleggiato dalla fida Eusebia (Paola Tiziana Cruciani), che spaccia per sorella. Fin quando le loro mire non si sposteranno su Mastro Titta (Maurizio Mattioli), fantomatico boia dello Stato Pontificio, nonché unico proprietario di una locanda in seguito all’abbandono, lavorativo e familiare, della moglie. L’arrivo poi dell’affascinante Rosetta (Emy Bergamo), già ammogliata ad un violento e patologicamente geloso, cambierà carattere e fama del ruspante Rugantino.
Il giorno della prima: in platea si respira grande attesa e tanti gli ospiti vip accorsi ad applaudire Enrico Brignano alla sua prima esperienza con un musical di tal portata. Vivo il tutto con un iniziale scetticismo, lo ammetto, ma il trascorrere delle 3-dico-3 ore mi avrebbe dato ragione. Lo spettacolo inizia con circa 30 minuti di ritardo, ma tutto rientra nei consueti effetti da red carpet. Rimango subito affascinato da una scenografia davvero imponente, cangiante, che richiama realmente una bella atmosfera romana e ripropone alcuni scorci capitolini poco riconoscibili, ma comunque ben architettati. Ottimo anche l’impianto luci, che qualcuno ha scherzosamente definito “quasi da presepio”. Tutto procede abbastanza velocemente, con ritmi più o meno giusti e cadenzati, grazie ad un buon alternarsi di attori sulla scena e di scene sul palco.
Se non fosse che Brignano, buon comico ed improvvisatore, come cantante-attore-ballerino non eccelle (ruota accompagnata a parte). Appare un po’ sottotono anche a chi, in sala, lo segue da anni tra palchi e trasmissioni tv. Più Brignano che Rugantino: un “Brigantino” che non richiede troppo sforzo interpretativo. La bella Bergamo, ha un buon timbro, ottima presenza, canta bene, ma le manca un po’ di verve e di pepe, che il personaggio dovrebbe imporre. E, in questo caso, l’eccessiva dizione stona un po’ con il contesto. Il confronto con la precedente coppia Mastandrea-Ferilli non regge. Tanto di cappello invece al Mastro Titta di Mattioli: ottima performance canora (quel minimo a lui richiesta) e teatrale, con alte punte durante il commiato finale. Non me lo sarei aspettato da lui, il mio J’accuse: forse la televisione richiede uno standard qualitativo più basso, o forse la sua esperienza nel personaggio lo ha reso davvero preparato. E la sua compagna di copione Cruciani? Abbaia ma non morde, consentitemi l’affermazione.
Il risultato è comunque buono, spettacolo godibile grazie ad una delle vicende immortali della Roma storica. E già questo merita il costo del biglietto.
Ottima la cura di coreografie, molto tradizionali e corali, e fantastici anche i costumi, restaurati per l’occasione. Un plauso alle splendide musiche di Armando Trovajoli, direttore dell’orchestra per la serata inaugurale.
Ottimo contorno, ma è stato proprio il piatto forte a non convincere: si sorride tanto, con piacere, ma a fine spettacolo esci dal teatro con una sensazione strana sul palato. Contento, soddisfatto, piacevolmente colpito da tutta la macchina organizzativa. Ma a tratti ti dimenticavi del motore, del suo cuore. Uno spettacolo, in alcune scene, senz’anima, attento alla forma, ma poco alla sostanza. Libero arbitrio.
Francesco Salvatore Cagnazzo
Foto per gentile concessione dell’Ufficio Stampa del Teatro Sistina di Roma
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