Nidi d’Arac: dal Salento a Copenhagen
Abbiamo intervistato Alessandro Coppola, voce della ormai storica band Nidi D’Arac. Ci ha raccontato come la loro musica è cambiata nel tempo e cosa vuol dire fare musica senza scendere a compromessi.Un ampio racconto di cosa rappresenta il nuovo album Taranta Conteiner e di come le collaborazioni a volte possono trasformarsi in un gioco di ruoli. L’estero per la band salentina ormai non è più un sogno, ma una realtà…
Dodici anni di attività, centinaia di concerti e sei album. Dagli esordi a oggi come si è evoluta la musica dei Nidi D’Arac?
Portare avanti un progetto come i Nidi D’Arac significa credere, innanzitutto, nella qualità della musica e soprattutto di un certo tipo di musica.
Non abbiamo mai fatto musica popolare salentina per moda, anzi siamo stati i primi a parlarne negli anni ’90, traducendola in linguaggio moderno. Quindi abbiamo portato avanti le nostre idee con costanza e coerenza, credendo solo in questo modo di fare musica. Questo è principalmente ciò che ha caratterizzato questi anni di attività.
Inoltre in noi ,e nei nostri album, è sempre presente l’aspetto del confronto con il mondo che si evolve. Abbiamo sempre voluto parlare di quello che ci circonda, infischiandocene delle aspettative dell’ascoltatore medio.
Infatti in tutti questi anni di attività avete mantenuto sempre una linea vecchio stile e non vi siete mai totalmente conformati alle ultime tendenze. Mi spiego: fate musica di tradizione mescolata all’elettronica, promossa attraverso concerti live e poco mainstream. Inusuale no?
Paradossalmente è anche la nostra forza perché adattarsi al mercato significa modificare i propri gusti e quindi anche mentire a se stessi. Noi ci siamo fidati, e soprattutto io in quanto produttore degli album, dell’istinto. E’ ovvio che un musicista si lascia anche influenzare da quello che ascolta, però il fatto di viaggiare e di confrontarsi con delle situazioni non convenzionali e non standardizzate dai media, ci ha fatto maturare un gusto.
E’ uscito da pochi mesi il vostro nuovo album Taranta Conteiner. I primi sei brani sono una rivisitazione in chiave live di alcune canzoni contenute negli album precedenti. Perché avete scelto proprio quei brani?
C’è stata una selezione naturale! Negli anni il nostro spettacolo si è sempre evoluto e volevamo dei brani che facessero parte di questa evoluzione. Ovviamente, avendo pubblicato sei album, durante i live non si possono proporre tutte le canzoni e quindi, nel tempo, abbiamo sempre fatto un tipo di spettacolo conforme a quella che era la crescita del gruppo (dal ‘98 ad oggi all’interno dei Nidi D’Arac ci sono stati molti cambiamenti, alcuni musicisti sono entrati altri sono usciti e con loro è cambiato anche il gusto e la potenzialità dello spettacolo). Quindi la scelta dei primi sei brani di “Taranta Conteiner” è stata dettata dal fatto che le canzoni selezionate per i live sono fondamentalmente quelle. Sono i più rappresentativi per quanto riguarda il suono che ne è uscito fuori: popolare etnica salentina, elettronica ed è uscita anche una sonorità più rock data da un gusto che è intimamente ritornato.
Io personalmente ho iniziato a suonare alla fine degli anni ’80 e facevo punk e quindi, in un certo senso, in essi è come se ci fosse un ritorno alle mie origini.
La traccia numero nove “Cerchio si apre cerchio si stringe” è un omaggio a Vinicio Capossela, una vostra nuova interpretazione de “Il ballo di San Vito”. Perché avete scelto questo titolo? e perché questa canzone?
Il titolo lo ha scelto lui! Gli abbiamo inviato il brano per avere la sua approvazione e anche perché comunque ci interessava il suo giudizio. “Il ballo di San Vito” è un pezzo che parla del Salento, che comunque è dedicato alla nostra terra e ormai è diventata un classico del repertorio salentino. La nostra è una versione molto particolare, più che una cover è una reinterpretazione, quando Vinicio l’ha sentita ci ha proposto di cambiarne il titolo poiché è un pezzo abbastanza originale. A chi ascolta la canzone viene naturale chiamarla “Cerchio si apre cerchio si stringe” perché c’è questa espressione ossessiva che si ripete per tutta la canzone.
Il 27 ottobre sarete a Roma per la data numero zero del vostro nuovo tour europeo. Mi sembra di capire che il progetto di portare la musica del sud Italia in giro per il mondo continua ad essere uno degli aspetti principali del vostro lavoro…
Si, un po’ per ambizione e un po’ anche per esigenza. Ambizione perché abbiamo sempre avuto conferme, portando il nostro spettacolo in giro in Europa e nel mondo per molti anni, di quanto gli stanieri, pur non rientrando in uno standard italiano, riconoscono come tale la nostra musica e la apprezzano e siamo felici di vedere come piano piano essa stia arrivando ad essere considerata italiana all’interno del grande calderone della “world music”.
E poi c’è da dire che ci siamo un po’ stancati dei meccanismi generali della musica italiana (mercato, interessi economici ecc) e quindi, a parte il desiderio di voler totalmente uscire dagli schemi italiani, io mi sono anche trasferito a Parigi in modo tale da poter continuare a vivere una vita da artista in un contesto non italiano.
Quindi c’è anche la ricerca di una produzione estera?
I dischi li pubblichiamo noi e penso che sarà così fin quando esisteranno i Nidi D’Arac. Io sono il produttore della band e voglio restarlo. In realtà il concetto di produzione, almeno per quanto riguarda i gruppi, è relativo. Non esiste più la figura del produttore che produce, ma ci si trova all’interno delle logiche di mercato e di pacchetti già confezionati, questo accade soprattutto in Italia. Bisogna fare musica alla vecchia maniera, come facevano i grandi del rock, realizzando e producendo secondo i propri gusti e senza scendere a compromessi…nessun compromesso!
L’album stesso è un viaggio in Europa. La seconda parte di Taranta Conteiner vede numerose collaborazioni internazionali: Gaudi l’alchimista del dub etnico da Londra (anche se credo sia italianissimo)…
Sì è italiano, ma da venti anni vive in Inghilterra!
…poi Dj ClicK da Parigi, Dj MPS Pilot da Amsterdam, Mr Tos dal Portogallo e infine l’italo-inglese Pier Faccini. Insomma, in questo ultimo album c’è tantissima roba…
C’è innanzitutto un segno di stima da parte di questi artisti, ma è soprattutto un loro modo di partecipare al nostro disco. C’è, in maniera molto personale, il desiderio di parlare il linguaggio dei Nidi D’Arac cimentandosi nella produzione di alcuni nostri brani tradizionali. Hanno giocato a interpretare la musica salentina.
Il fatto che ci siano tanti artisti di tante nazionalità, sta a significare che il nostro linguaggio è molto comune. La lingua che parliamo noi è la stessa che si parla in giro per l’Europa: è questo il significato di “Taranta Conteiner”. Come se fosse uno sdoganamento della musica popolare, questo genere diventa paradossalmente il meno popolare attraverso la lingua inglese.
Tra qualche giorno vi esibirete anche al Womex 2010 di Copenhagen, un salone riservato ai professionisti della World Music provenienti da tutto il mondo. Sarete l’unica band italiana presente al Womex, deve essere una grande soddisfazione per voi…
Sono molti anni che proviamo ad essere selezionati. Al Womex arrivano diverse richieste da tutto il mondo, molti artisti cercano di esibirsi in questo show case lungo tre giorni. In questi giorni si esibiranno in tutto quaranta gruppi selezionati da quelli che vengono chiamati i “Sette Samurai”, sette esperti dei world music scelti per formare la commissione. Da più di sette anni proviamo ad esibirci al Womex e quest’anno la cosa che ci ha reso maggiormente felici è che tra questa commissione non c’è neanche un italiano. Quindi è solo il frutto della nostra tenacia e della nostra coerenza e così facendo il nostro nome è arrivato alle orecchie di addetti ai lavori e a un pubblico sempre più vasto e più internazionale.
In questo momento “Tarantula” è al diciassettesimo posto della classifica mondiale dei migliori dischi di world music ed essendo solo la prima settimana siamo anche destinati a salire. Ti lascio immaginare che grande soddisfazione possa essere questa, per un gruppo che in Italia viene considerato di nicchia.
Soprattutto considerando quanto è esigente il pubblico estero!
C’è una grandissima cultura musicale. Il fatto stesso che noi siamo in un contesto di world music significa che rientriamo anche in un genere ben preciso. In Italia, non essendoci una cultura musicale, le persone non riescono a collocare una band. In Italia la maggior parte delle persone pensano: è conosciuto o non è conosciuto!
Un’ultima domanda, ci dai una piccola anticipazione di cosa proporrete al pubblico durante la prossima tournèe?
Faremo lo show case che proporremo al Womex. E’ uno spettacolo di quarantacinque minuti, passati questi minuti faremo altri brani e il live assumerà una connotazione più informale.
Paola D’Angelo
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