Sonny Rollins: il perfezionismo del sax e una sciarpetta rossa
L’accoglienza è come quella di un nonno ai nipotini. E nonostante fosse in una lussuosissima stanza dell’Hotel Brufani, nel pieno fermento dell’Umbria jazz, è difficile pensare di essere davanti al Saxophone Colossus di Harlem.
Felpa in pile, sciarpetta rossa, capelli più lunghi e imbiancati dagli oltre 60 anni di jazz. Tra un mese varcherà gli 80 anni e tra 20 ore il palco dell’Arena Santa Giuliana per uno dei concerti più attesi della 34esima edizione. Ci rendiamo conto che è lui quando comincia a parlare, con una voce identica al suono del suo sax. Stessa cadenza, stesse impennate. E le risate: quanto di più simile ai suoi giochi di jazz. Possiamo cominciare Mr Rollins? “Oh yeah”.
Oltre ad essere passione, il mondo del jazz è soprattutto competizione. Ti senti ancora in competizione con altri musicisti dopo più di 60 anni di musica?
Beh, si e no. Da una parte si, certamente continuo a sentirmi in competizione con i musicisti più bravi. Dall’altra parte ho vissuto una lunga carriera con la quale nessuno può competere…quindi in questo senso non sono in competizione. Musicalmente cerco sempre di fare di più, di migliorare giorno per giorno. Comunque no, non mi sento particolarmente in competizione.
Quindi è vero che sei un perfezionista, alla ricerca continua del suono perfetto?
Si…È davvero difficile nella vita essere un perfezionista.
Cosa pensi sia cambiato dalla prima registrazione in studio nel 1949 all’ultima Sonny, please del 2006?
Non mi sento cambiato molto e mi sono sempre sentito lo stesso rispetto alla mia musica. Ho lo stesso entusiasmo che avevo nel 1949. Penso, spero, di essere migliorato in qualche modo. Ho studiato molto quindi credo di aver fatto progressi, anche se è difficile da dire perché a molte persone piace ciò che facevo prima ed è come se mi chiedessero di tornare quello degli anni Cinquanta o Sessanta… Quindi in questo senso non saprei, ma personalmente credo di aver imparato molto in questi anni. E il mio modo di suonare è ormai ben definito. Anche se le persone pensano che io abbia fatto di più quando in realtà non ho fatto molto, come appunto nel ’49, non lo so…quello che so è che ho imparato molto e quindi posso dire di avere un suono tutto mio.
E quale pensi sia il tuo sax lick più imitato?
Non ho mai pensato che le persone potessero suonare i miei lick. In realtà la cosa mi infastidisce parecchio. Recentemente ero a New York e stavo andando a comprare qualcosa da mangiare nel mio “health food store”; stavano trasmettendo dei brani da una stazione locale di musica jazz, sentivo credo due giovani sassofonisti e mi sono reso conto che stavano provando a suonare come me…ma cerco di non ascoltare gli imitatori perché sto ancora provando a cambiare, migliorare…quindi sentire qualcuno che suona come me qualcosa che io ho fatto in passato…non so se mi sono spiegato bene…
Diciamo che non gioisci quando le persone suonano qualcosa che tu hai suonato prima.
Beh, penso che potrebbero farlo meglio! Non è che non mi piaccia o altro…Ciò che fanno va bene ma…Mi sento cosi! Fermo restando che è un onore per me…
Hai mai ascoltato il jazz sperimentale di ultima generazione? Cosa ne pensi?
Non è male… non sono closed-minded quando si tratta di musica. Accetto che qualcuno voglia fare qualcosa di diverso, non sono contrario. Sono sempre alla ricerca della musica perfetta, quindi cerco di non sprecare molto tempo a criticare ciò che fanno gli altri, a opinare se è negativo o positivo: mi concentro su quello che devo fare. Quindi va tutto bene, anche l’aggiunta di elettronica. Ognuno cerca di esprimersi in qualche modo nella musica, non c’è il buono o il cattivo nello specifico. Il jazz è un tipo di musica aperta e libera e quindi va bene se i giovani cercano nuovi modi di espressione. Il jazz ha vari modi di espressione quindi…
È la tua quinta volta all’Umbria Jazz. Trovi che sia cambiato qualcosa nella qualità della musica? E credi che sia il modo giusto di avvicinare le persone al jazz?
Penso che c’è molto rock ‘n‘roll o qualcosa del genere nell’Umbria jazz…mi spiego?
Meno jazz e più rock?
Esatto. Beh…È una domanda davvero interessante….Spesso ho trovato molto triste il fatto che in un festival jazz si sviluppino più il rock o altri generi musicali. Ho suonato in altri festival a cui partecipavano molte persone ma l’obiettivo diventava vendere più biglietti e fare soldi. Il problema è che non ci sono abbastanza artisti jazz. Sfortunatamente i migliori degli ultimi 15-20 anni – come Miles Davis, Coltrane, Count Basie – se ne sono andati. Questo è un periodo in cui non ci sono molte persone che si intendono realmente di jazz, che possono far appassionare e quindi, quando si organizza un festival in cui suonano artisti che nessuno ha mai visto né sentito prima, finisce per diventare un evento commerciale. Quindi è questo il problema del jazz oggi come oggi: penso che si stia perdendo qualcosa o comunque che il jazz stia cambiando di nuovo…e non ci sono persone che fanno del vero jazz. D’altra parte la parola jazz oggi significa un po’ tutto quindi suppongo che i musicisti si sentano anche più liberi. Un tempo mi preoccupavo che potesse essere un genere sorpassato, ora non più. A volte credo che questo genere venga un po’ sopravvalutato, ma la cosa non rappresenta un vero problema. Ci sono molte persone che praticano il jazz, molte delle quali si affermeranno. Non so in Europa ma negli Stati Uniti il jazz non è stato molto apprezzato. In tv, per esempio, nessuno trasmette programmi in cui si suona jazz. È un genere che è sempre sopravvissuto grazie alle persone che lo amavano. Ci sono stazioni radio che trasmettono questa musica tutto il giorno. La radio è diversa, trasmette jazz, musica classica…Ma in televisione, che è il mezzo più popolare, è assente. C’è pop, soul, rhythm&blues ma niente jazz. Questo deve far riflettere: in questo modo le persone non hanno modo di ascoltare né di conoscere il jazz.
Strano, l’America è la terra nella quale nasce il jazz…
Si, lo so lo so…è un vero peccato….
Nel 1958 hai inciso “Freedom Suite” contro il razzismo. Ebbe degli effetti? Pensi che il jazz usato in questo modo possa avere degli effetti anche oggi?
Penso che se sei onesto, se senti certe cose dentro di te e sei seguito da persone che amano la tua musica puoi usarla per dire qualcosa sulle condizioni lavorative, sul fatto che negli Stati Uniti nessun media trasmette il jazz… è un modo per protestare. Ora è pericoloso perché il governo prova a fermarti. C’era un gruppo, ad esempio, i Dixie Chicks, avevano criticato il presidente Bush e gli è stata quasi distrutta la carriera. Il jazz affronta temi importanti ma viene ascoltato solo da comunità compatte e forti che tuttavia rappresentano una minoranza perché ci sono poche persone che sono realmente appassionate di jazz. Ad ogni modo può funzionare se ti senti fortemente legato a questi temi e hai la possibilità di rendere pubblico il tuo pensiero parlandone, ma dipende dal tipo di persona che sei: se vuoi fare carriera e lo usi come pretesto non ha senso, se ti opponi allo stato delle cose devi sapere che il governo può metterti a tacere. È lo stesso anche in altri paesi, come anche in Italia, vedi Berlusconi per esempio (sic!)… (e dopo una grande risata…) quindi corri un rischio. Per me non è stato un rischio in quanto la mia famiglia ha sempre protestato contro il razzismo e questo genere di cose, e di conseguenza anche io. Mia nonna è stata una forte sostenitrice della causa, ha protestato tanto e quando ero bambino mi portava con lei. Quindi per me non c’è voluto tanto a incidere “Freedom Suite”. Ho fatto anche altre cose in questo senso: ho inciso un brano con Frank Sinatra che si chiama “The house I live in”, una piacevole canzone accusata di seguire la corrente delle canzoni filocomuniste perché parlava della libertà di vivere in America, nei posti che preferisci e questo genere di cose. Incidere un brano con Frank Sinatra all’inizio della sua carriera è stata un’esperienza davvero forte. In quell’occasione ho collaborato anche con Josh White, un famoso cantante folk, anche lui censurato perché era comunista. Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di fare quello che era giusto fare, specialmente in casi come quelli, che considero molto importanti e in cui puoi dire qualcosa. Mi chiedevi se è stato utile alla situazione in quegli anni… Beh, credo che non sia importante essere utili, ciò che è importante è fare qualcosa e sentire che si dovrebbe fare. Non possiamo cambiare il mondo, non lo possiamo fare da soli, possiamo fare solo ciò che ci sembra giusto fare, anche se non cambia niente. Non è importante se si elimina o no il razzismo o atteggiamenti simili, la cosa importante è sentirsi in un certo modo e fare comunque qualcosa. Personalmente penso di aver dato un contributo, questa è la cosa importante. Quindi se il mondo cambia o no non è importante, l’importante è fare ciò che si ritiene giusto fare.
Progetti per il futuro?
Come ti ho detto suono tutti i giorni, quindi non penso di essere agli sgoccioli della mia carriera benché sia iniziata nel ’49, sono ancora pronto a fare qualcosa. Il mio futuro è abbagliante. Perché sento che mi sto avvicinando alla mia musica, quella che ho in mente, è il motivo per cui mi esercito ogni singolo giorno, e della quale non potrei fare a meno nella mia vita. Quindi il mio futuro è radioso. Non ho progetti particolari, la cosa importante è che vedo la mia musica andare avanti, noi la chiamiamo la luce alla fine del tunnel, possiamo vederla sì, ci stiamo avvicinando. Di conseguenza i progetti verranno da sé.
Emiliana Pistillo
Foto: Davide Di Santo
Traduzione: Concetta Bianchino
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