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Jamiroquai: play that funky music white boy

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jamiro_debut_1LONDRA- Scendo alla fermata London Bridge dell’underground londinese alla ricerca del Debut Club in Weston Street, chiedo informazioni ad un negoziante pakistano che, a quanto mi dice, è li da 20 anni con il suo emporio, non conosce e non ha mai sentito nominare questo locale… Bah!

Alla fine vedo un gruppetto di persone sotto ad una galleria ed è proprio li che si trova il Debut Club. Sono solo alcune decine di persone, ma è ancora presto, pare che le porte vengano aperte alle 19. Il locale, mi dicono è di recente apertura, ha inaugurato a maggio ed è per questo che nessuno sembra conoscerlo.
Giovedì 24 giugno 2010 il Debut offre il suo palco ad una delle band britanniche che nell’ultimo ventennio ha maggiormente avuto impatto sulla scena internazionale. Sono le 18:30 e come avevo immaginato la fila si sta assortendo di gente venuta da ogni parte d’Europa e anche più in la, sento parlare italiano, francese, inglese con accento americano, siamo tutti qui per assistere a quello che si preannuncia un evento storico, infatti il concerto era sold out già a poche ore dalla messa in vendita dei biglietti.
Sono tre anni che i Jamiroquai non si esibiscono in Inghilterra e quando la band alcune settimane fa ha annunciato il tour estivo e l’imminente uscita di un nuovo album (il settimo in studio se non consideriamo il Greatest Hits) il grande seguito di fans si è mobilitato subito per accaparrarsi un biglietto, visto anche il prezzo popolare di 10 sterline.
I cancelli vengono aperti verso le 19:30 e oltre al controllo del biglietto viene chiesto anche un documento identificativo, proprio per la peculiarità dell’evento.
Il locale è poco illuminato, si passa prima per una sorta di corridoio che da ad un serpentone per i controlli di sicurezza, sembra di essere in aeroporto! Da qui una sala in mattoni rossi, divani e jamiro_debut_2poltrone con tavoli ma non è un privè. Finalmente il palco, in fondo alla seconda sala, è piccolo e la situazione intima. La strumentazione è tutta coperta, ma già si nota che oltre al sestetto composto da Jay Kay alla voce, Paul Turner al basso, Rob Harris alla chitarra, Matt Johnson alle tastiere, Sola Akingbola alle percussioni e Derrick McKenzie alla batteria avremo l’onore e il piacere di assaporare I vecchi fasti acid jazz della band con l’ausilio di tre coriste e la sezione fiati al completo, assenti dalle scene da tempo immemore.

Il gruppo sale sul palco verso le 21:30 tra urla, fischi e applausi e per iniziare il The Mad Hatter non può che ringraziare ancor prima di iniziare le danze…
La traccia che da il via è “Revolution 1993” come spesso accade i Jamiroquai aprono I loro concerti con questo lungo brano dalla lirica potente tratto da The Return Of The Space Cowboy, si continua con un’alternanza di pezzi dal primo al secondo album: “When You Gonna Learn”, “If I Like It I Do It” e “Light Years” accendono il pubblico che canta, emozionante la percezione che si ha da queste poche fortunate centinaia di persone che si sono riunite questa sera per celebrare la grandezza di una band che all’inizio degli anni ’90 ha fondato un genere e ha fatto la storia.
Quando Matt Johnson attacca alla tastiera con le 5 note d’ingresso di “Virtual Insanity” si passa al quarto album Travelling Withour Moving che con questa traccia e “Cosmic Girl” ha portato il nome della band nel mainstream internazionale. Ancora un passo indietro con “Too Young Too Die”, splendido motivetto che non annoia mai e il quale testo sembra essere stato scritto proprio per questi tempi.
Passiamo per una traccia dance dall’album A Funk Odyssey: “Little L” con cui tutti compreso lo stesso Jay iniziano ad intraprendere una danza scalmanata alternata al famoso battere di mani dopo il ritornello you make me love you love you baby with a little L che non termina se non dopo il pezzo seguente “Alright”, altra traccia fondamentale nei live dei Jamiroquai, che reinterpretano sempre in modo diverso portandola quasi all’infinito nel prolungare il ritornello We’ll spend the night together wake up and live forever, Arena di Verona docet.

jamiro_debut_4La magia della serata non poteva che portare ad una sorpresa come l’esecuzione del brano “Hooked Up” che non si sentiva da anni e anni e che porta insieme alla splendida ritmica di percussioni e chitarra il ritorno della sezione di fiati, un  salto indietro con la memoria al 1993 quando Jason Kay vestiva con ponchos coloratissimi e cappelli improbabili. Non c’è più lo smalto di una volta e la voce di velluto con cui ci regalava vocalizzi da pelle d’oca, ma la voglia rimane e il pubblico accoglie questo brano a braccia aperte. Si continua con singoli amatissimi come “The Return Of The Space Cowboy” e “Cosmic Girl” suonati esattamente come gli originali per poi approdare ad un inedito, a quanto pare uno dei singoli dell’album che uscirà ad ottobre: “Rock Dust Light Star”, canzone che lascia perplessi, non è esattamente quello che ci si aspetta da chi sa suonare e creare come i Jamiroquai. Un pop-rock moscio e tirato al limite, perlopiù una canzone da “vendere” ma forse è solo il primo ascolto che porta a certe considerazioni. Suggestivo vedere tutti fermi ad ascoltare quasi con religiosa attenzione la novità.
Il live si conclude con la magnifica “Just Another Story” e un bis chiamato “Deeper Underground” come ad ogni concerto dei Jamiroquai che si rispetti. La scaletta non ha sbalordito ne appagato le aspettative di tutti, anche se solo ascoltare i vecchi successi dei primi due album con i fiati all’attivo vale la pena d’essere venuti fin qui, sembra come se mr. Kay abbia voluto rispolverare il repertorio dal 1992 al 1995 con maggiore enfasi, l’utilizzo delle coriste in simbiosi con tromba, sassofono e trombone rimembrano la bellezza e i fasti delle composizioni dei primi anni ’90. Questo ragazzaccio inglese non ha perso il vizio di giocare con il suo pubblico, interagendo spesso con chiacchierate lampo, ma purtroppo manca qualcosa a questo revival acid jazz.
Sarà l’età ormai troppo avanzata o i precedenti passati tra alcool, donne e macchine veloci, ma a questo ritorno di scena manca la voglia d’improvvisare, caratteristica che ha reso i loro concerti famosi ovunque e seguiti anche da chi non particolarmente interessato al genere o al gruppo. Forse la paura di non essere più all’altezza o di sbagliare, ma è questo l’anello mancante, la ciliegina sulla torta che rendeva i loro “funky parties” inconfondibili e vedeva tracce lunghe anche 20 minuti, stravolte e reinventate completamente frutto dell’improvvisazione dei musicisti.

Laura Fioravanti

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