Le amiche- bambine di Lewis Carroll
[L’ILLETTERATA]
Non ho mai dato peso alle illazioni che circolano da sempre sul famoso autore di Alice nel Paese delle Meraviglie. Forse non ho mai voluto credere che una favola così bella, nata da una mente geniale, possa essere stata il frutto di un interesse insano per delle giovinette.
Il racconto lungo di Simonetta Agnello Hornby, Camera oscura, aggiunge un tassello storico importante a questa faccenda: il testo, a metà tra documento e finzione, si cimenta col mistero del celebrato padre del libro più citato della letteratura in lingua inglese, dopo le opere di Shakespeare, raccontandone la passione per la fotografia ed il suo discutibile tentativo di rendere le sue amiche- bambine in costumi esotici, in tableaux- vivants e, dal 1867, persino nude. Pedofilia? Ma in età vittoriana, sostengono i difensori di Carroll (al secolo Dodgson), l’infanzia femminile senza veli era, non solo per lui, simbolo d’innocenza, lo prova il fatto che tutte le famiglie rimasero soddisfatte delle fotografie fatte alle loro figlie anche quando erano senza veli. Tutte, tranne una, la Fam. Mayhew, che mise fine bruscamente alle sedute.
E la prima parte di questo volume della Hornby, romanzata e ambientata nel 1896, immagina proprio la storia di Ruth Matthews (nella realtà Mayhew), una delle bambine “baciabili”, secondo il requisito che l’autore di Alice imponeva alle famiglie.
Nell’intermezzo, l’autrice svolge le sue considerazioni riguardo la figura ed il comportamento del reverendo Dogson; e in appendice, dopo le foto, sono riportate le lettere che lo stesso Dodgson in quel periodo scrisse ad un certo punto ai Mayhew e ad altre famiglie.
Con la bella penna della romanziera, la Hornby, avvocato specializzato in diritto di famiglia e dei minori, che ha insegnato anche Diritto dei Minori all’Università di Leicester, è quindi nella veste di specialista che indaga sul caso Carroll.
Mostra il “presunto” abuso sul minore nella sua complessità. Non solo dal punto di vista fisico, piuttosto ci introduce nella psicologia della piccola protagonista ormai cresciuta, immaginando che Ruth Mayhew si fosse innamorata del reverendo e avesse sofferto da bambina per il distacco: il pedofilo seduce insegnando, ed è la vittima che finisce per sentirsi colpevole.
La scrittrice è molto attenta a mettere in luce l’ambiguità dei rapporti che il reverendo instaura con le piccole amiche, il suo porsi in modo ora infantile, ora autoritario, con scarti di comportamento che spiazzavano quelle modelle in erba e nello stesso tempo le affascinavano. Colpisce il lettore, anche se assolutamente suffragato dalle lettere autentiche poste in appendice al libro, la modalità melliflua con cui viene chiesta ai genitori delle “amichette” l’autorizzazione a baciarle e a farle posare nude. Ma ciò che ancora di più stupisce è il consenso che viene quasi sempre dato da famiglie di alto livello sociale (e quindi senza nessun interesse economico) solo per il prestigio e la fama del fotografo.
Il libro, nato su commissione dell’editor Eileen Romano, nasce dal carteggio a cui l’autrice ha avuto accesso, quello che il reverendo Dodgson tenne con i Mayhew. Mancano le lettere loro, racconta la stessa autrice, come quelle di Ruth, così come non c’è traccia delle fotografie fatte a lei e alle sue sorelle. Però Dodgson dai 30 anni in poi teneva un riassunto di tutte le lettere che riceveva e conservava una copia delle sue. Di queste, ne aveva 98.000. Un vanesio, e leggendo, appare evidente la sua arroganza, la sua tracotanza: Dodgson era un arrampicatore che perseguiva i suoi scopi oscuri senza traccia di pentimento.
Le foto nell’intermezzo del romanzo lasciano a bocca aperta. In un’epoca in cui la pedofilia è un argomento sempre e tristemente attuale, soprattutto dopo gli ultimi scottanti avvenimenti in campo clericale, si finisce per esplorare con queste immagini, il terreno scivoloso su cui in età vittoriana si muoveva il diacono Charles Lutwidge Dodgson.
Alice Liddell (foto sopra), 6 anni, presunta ispiratrice dell’omonimo romanzo, è ritratta scalza, con i vestiti stracciati e con uno sguardo malizioso appoggiata a quello che sembra un muro; Irene MacDonald, 6 anni, e Xie Kitchin, 10 anni, sono ritratte in pose discinte, con i vestiti calati, su un canapé d’epoca, come fossero donne fatte e sensuali; Evelyn Hatch, 8 anni, è distesa con le braccia a cingerle la testa, e a metterle in risalto il petto, una gamba morbidamente reclinata sull’altra, completamente nuda.
Non grida allo scandalo Simonetta Agnello Hornby, piuttosto ci mostra il mondo “incantato” in cui si muoveva indisturbato il reverendo Dodgson, uomo dalla sessualità estesa, che frequentava teatri e attrici, donne adulte, ragazze, ma anche bambine, piuttosto cerca di farci riflettere, di ricordarci quanto possa essere sottile l’atteggiamento del pedofilo.
Monito per la situazione che viviamo attualmente, in cui la moda per bambine le vuole vamp a tre anni, e in cui con Internet il fenomeno pedofilia si è strutturato su scala multinazionale l’autrice lascia spazio al giudizio in modo intelligente e attraverso la piacevolezza della narrazione, senza aggiungere molto alla documentazione storica, che compone in modo creativo, ci lascia giudici di noi stessi e di tutto quello che, sempre, andrebbe fatto in tema di tutela dei minori.
Simonetta Agnello Hornby, Camera oscura, Skira Edizioni, pag. 124, € 15
Eva Kent (evakent.74@gmail.com)
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