Happy Go Lucky – La Felicità Porta Fortuna, regia di Mike Leigh
CINEMA- Poppy (Sally Hawkins), una giovane ed euforica insegnante delle elementari, decide di prendere lezioni di guida; questo, una volta a settimana, ovvero: ogni sabato.
Vi chiederete: “…E allora?” purtroppo, è ciò che continuerete a chiedervi per le due ore successive all’inizio del film.
Nel suddetto, infatti, non succede proprio l’ombra di un avvenimento (tranne forse nel climax, nel quale la controparte di Poppy, Scott, l’istruttore di guida, sfuria dando di matto nei confronti della fastidiosa protagonista: cit. “brutta stronza…tu! tu! Sempre e soltanto tu!…il mondo deve girare attorno a te… non hai mai voluto imparare aguidare… vuoi sentirti adorata…desiderata, è questo ciò che vuoi… mi punzecchi…mi seduci…e poi te ne vai a scopare con il tuo amante, o con la tua amichetta… e ve ne andate in giro su quella ridicola macchinetta gialla…”) ovvero ciò che tutti noi vorremmo dirle, ma (ahimé) non possiamo, paradossalmente ‘ostacolati’ da quella rinomata quarta parete che ci separa dal ‘magico’ universo di Poppy.
Numerosi sono i riconoscimenti ottenuti dal regista e, in particolar modo, dalla sua collaboratrice feticcio: Sally Hawkins (Orso d’argento al festival di Berlino, BOSTON SOCIETY OF FILM and CRITICS AWARD, British Independent Film Award) entrambi derivanti dal contesto teatrale Britannico, tuttavia con indubbio rammarico, poiché il film, a livello tecnico e di scrittura, non sembra possedere neanche lo straccio di un punto di forza.
Happy Go Lucky è una visione scialba, frivola e vacua della realtà londinese odierna; concezione che farebbe impallidire l’intero ‘Free Cinema’ Britannico e la sua successiva evoluzione: la ‘New Wave’, che in special modo si è occupata di introdurre, in produzioni e realizzazioni non dissimili dalla Nouvelle Vague Francese (metodi ‘guerrilla style’, per intenderci: macchina a spalla e giù per le strade…), tematiche sociali come: l’omosessualità, il razzismo, il bullismo, l’abuso in famiglia, la crescita di una generazione, il conflitto generazionale tra consanguinei, il vagabondaggio, utilizzando una poetica ed una costruzione drammatica calibrata e mai lasciata al caso; tematiche che, nel film di Leigh, vengono a malapena accennate per poi essere misteriosamente risucchiate nell’oblio e dimenticate al fine di cedere spazio (giustamente) a siparietti frivoli e leggeri alla Sex and the City.
La regia è praticamente nulla; al di là di qualche composizione piacevole, difatti, la macchina resta ad altezza uomo senza neanche muoversi granché.
Il film, dichiaratamente, si impernia sul talento dell’attrice protagonista, di indubbie capacità recitative, eppure il suo buon umore e la sua ossessiva ‘ridarella’, a lungo andare, possono risultare assai snervanti.
I personaggi che circondano Poppy, inoltre, non sono da meno: a parte comparire e scomparire a loro piacimento, gli innumerevoli personaggi che popolano Happy Go Lucky, restano semplicemente la caricatura di loro stessi, ancorati (come in fin dei conti lo è anche la protagonista stessa) a caratteri stereotipati ed univoci o intrappolati nel loro profilo psicologico.
Esiste chi ha paragonato Happy Go Lucky al meraviglioso film di Jean Pierre Jeunet: Il Favoloso Mondo di Amelie…Bè, quel qualcuno è senza ombra di dubbio affetto da una psicopatologia rara che si ripercuote sulla sua percezione del mondo, e di ciò che lo circonda, distorcendo il tutto in maniera malsana.
Morale della favola: la felicità porta fortuna (ma quando?) e, come suole ripeter sempre Poppy, anche quando gli rubano la bici, o la insultano pubblicamente per la strada, o le danno della prostituta e donna di facili costumi, o i suoi giovani alunni si pestano a sangue nel cortile della scuola: “Sorridi alla vita!”.
Pessimo.
Luca Vecchi
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