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Distretto 9, regia di N. Blomkamp

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300px-District_9CINEMA- Neil Blomkamp, regista neozelandese al suo debutto cinematografico sotto l‘aura protettiva di Peter Jackson, ci offre un film fantascientifico ad effetto che non delude le attese ed è destinato a diventare un film di culto per gli amanti del genere, non riuscendo però nell’impresa di diventare un classico.

Il racconto prende avvio in media res, introducendo direttamente sul campo e dentro l’azione lo spettatore, una Johannesburg sovrastata da un’enorme e misteriosa astronave, limitandosi a mostrare in una rapida successione di sequenze, l’impatto di tale evento nella città, gli echi nel mondo, e le conseguenze della sconvolgente scoperta al suo interno: decine di migliaia di alieni, di cui non verrà mai rivelata la provenienza, probabilmente in fuga dal loro pianeta ed in possesso di una micidiale ed avanzata tecnologia militare, vero obiettivo della razza umana. Viene creata “una zona speciale” alle porte di Johannesburg, vero e proprio campo profughi o prigione a cielo aperto, dove vengono confinati gli alieni, che crescono costantemente di numero. A gestire il campo e la popolazione aliena, viene incaricata dal governo sudafricano la potentissima multinazionale MSU e nel corso di una tragicomica operazione di censimento, incontriamo il protagonista il dr. Wikus Wan De Merwe, tanto burocratico quanto ottusamente dedito al suo lavoro speciale, da non essere mai  distolto dalla vita quotidiana programmata per lui. Ma il diverso da sé è più vicino di quanto immagina …

Distretto 9 è un film sospeso tra due visioni: la prima di carattere sociale, per i temi evocati ( la discriminazione razziale, la xenofobia, le aree fuori Stato e quindi “buchi neri”, le multinazionali e la privatizzazione, l’industria bellica , gli esperimenti scientifici “fuori controllo”) e le premesse del racconto; la seconda di fantascienza classica, ovvero una scelta di campo del protagonista che produrrà per lo scioglimento della trama, un percorso di azione frenetica, di scontri e di inseguimenti, fino all’ironico ed aperto finale.
Le due parti del film non riescono nell’obiettivo di giungere ad una sintesi equilibrata e superiore tra i vari elementi suggeriti, dispiegati con una risolutezza ed una perizia tecnica notevole. Blomkamp conosce benissimo la realtà contemporanea ed il recente passato, in particolare del suo paese di origine, il Sud Africa, e ha in memoria nel suo ricchissimo database, ogni pellicola di riferimento per il genere fantascientifico, ma per le sequenze che a partire dal presente prossimo, mirano a descrivere con l’originalità dello sguardo, il nostro presente attuale.
Lezione mimetica ben appresa, come dimostra la prima parte della pellicola, dove vengono utilizzate tutte le tecniche di angolazione e di ripresa possibili, costruendo realistici reportage ed impiegando tecniche di moltiplicazione dei punti di vista, come le interviste e camere di ripresa non cinematografiche. Il risultato colpisce nel segno e avvince.

La seconda parte del film, invece, risponde ai  canoni del film sci-fi classico e del war -movie, dove la presa di coscienza del protagonista incespica su alcune imperfezioni ed incongruità della sceneggiatura, con il risultato che la storia si sfilaccia progressivamente in un percorso quasi obbligato, e con un finale che offre più interpretazioni.
In Distretto 9 ciò che conta è la modalità del racconto e la capacità evocativa, più che la compiutezza della struttura o l’innovazione nel messaggio. L’assunto principale del film è che viviamo in un sistema di narrazione per immagini nel quale siamo immersi in modo irreversibile, il quale costituisce non una modalità del reale ma l’essenza stessa della realtà. E che le forme del controllo sociale e dell’amministrazione della comunità, ovvero la politica, sono mutate nella forma spettacolo dell’intrattenimento. Tramite questo, si modella e costruisce il potere nelle varie declinazioni. A tale riguardo, vagano nel film, pronte a colpire, osservazioni sagaci sulla filosofia della sorveglianza e le tecnologie di controllo in cui ci imbattiamo,  il trasferimento e l’identificazione del bene comune verso entità che rispondono unicamente ad i propri scopi ). In più la storia kafkiana del protagonista, è interamente imperniata sulla ricerca del paradosso, quasi a diventare l’unica lente per riuscire a distinguere  una rappresentazione della realtà assolutamente normale contenuta nel film, dalle basi che la fondano, non più distinguibili, soprattutto per il primo tratto della storia …
Un film da vedere, imperfetto, ma diverso dal solito cinema di genere blockbuster, ben girato, con un buon cast di attori non conosciuti e con modelli di riferimento, assorbiti e resi propri e non soltanto citati, come Distretto 13 e 1997 Fuga da New York, e gemme indipendenti non sci- fi come La Zona e Tropa De Elite.

Alessandro Sanna

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