7 vizi per noi posson bastare!
ROMA- E questa era solo l’Anteprima! Lo staff di Traslochi ad Arte, in questo ennesimo trasferimento di armi (espressive) e bagagli (culturali) è andato ad occupare il Mads, rinomato locale di S.Lorenzo, intasandolo completamente con una rappresentazione assai articolata e pregnante dei 7 vizi capitali.
Anteprima della edizione più ampia che si terrà a Marzo, al Circolo degli Artisti, ha richiamato una folla di viziosi o curiosi cui non è parso vero di smetterla di tracciare un discrimine tra la loro natura di giovanotti/e per bene e la “tendenza” perigliosa a far delle loro vite un’opera d’arte, con tutti i rischi di perdizione che ciò comporta.
L’umore dichiarato sul MySpace di Traslochi ad Arte è “produttivo”, e perciò non ci sorprende che tutta l’organizzazione non si sia risparmiata ed anzi abbia macinato situazioni e set godibilissimi, in numero tale da lasciare completamente sopraffatti tutti gli spettatori che hanno avuto il fiuto di rinunciare al posticipo di serie A per andare a respirare dal vivo atmosfere esclusive e dense di talento, predisposte dallo staff con impagabile professionalità.
Trenta artisti sono stati infatti mobilitati ad intervenire sul tema con una varietà di mezzi espressivi che avrebbe disorientato Bonito Oliva e fatto sbattere la testa al muro a Sgarbi: fotografia, pittura, scultura, musica, teatro, letteratura, danza e videoarte, tutte accavallate e congestionate, alla ricerca di un’ idea ambiziosa di spettacolo.
Malgrado sia impossibile, nello spazio concesso, riferire di tutte le suggestioni disseminate nella serata, proviamo qui a farne qualche cenno. Gabriele Mastroddi ha lasciato nella prima area del locale una sua scultura metallica animata che, con un paio di circonferenze convesse, una per la testa ed una per la pancia, visualizzava con lucente pesantezza un obeso mai sazio che ha un anello sempre metallico che ruota uscendo dall’ombelico ed entrando nella bocca, mettendo quest’ ultima idealmente in condizione di tornare a masticare il cibo già digerito, in modo che le pietanze possano essere degustate a ciclo continuo, metafora estrema dei desideri iperbolici della “Gola”. Sullo stesso tema verteva l’opera dipinta da Rocco Cerchiara, in cui una cicciona immorale sgranocchiava il braccio di qualcuno dopo averlo staccato con una mannaia da ma-cellaio forse ad un ausiliario del traffico arrogante. L’arpia antropofaga porta gli occhiali perché evidentemente quando ha fame “non ci vede più”. Il racconto sulla gola Girl’s Machine, (sele-zionato come gli altri da Alessandro Di Iorio) scritto da Agostina Bevilacqua, laureanda in Storia dell’Arte ma molto attiva sia in campo letterario che della critica cinematografica, è stato letto da Simone Alessandria, uno degli attori coinvolti nella serata, con un coinvolgimento che cresceva con il precipitare degli eventi narrati, sino all’auto-cannibalismo del protagonista della storia, utente d’una macchina che usando cibarie sopraffine costruisce esseri femminili arcimbol-deschi tutti da mangiare “…succulente cosce…”. I violini di G.V.Galli e P. Benassi hanno ese-guito “Mizar” dello stesso Galli, avviluppando di divagazioni pentagrammatiche emotivamente tortuose i presenti e struggendo i loro cuori con una dichiarazione intensa di precarietà del sentimento e con il persistente purgatorio terreno delle anime non solo tzigane.
Per la lussuria Alessio Fralleone avrebbe dovuto dipingere in estemporanea alla sua maniera, ma temo sia stato assente spero giustificato; il soggetto era un essere con la polpa macerata di natura ibrida, un centauro con la donna al posto della parte equina ed il busto dell’uomo saldato al contrario sulla vita della donna ed impegnato esplicitamente nella conclusione enfatica di un atto sessuale tanto vorace quanto macerante. Luana DeCarolis invece, nel suo dipinto ha dissolto la carnalità femminile visualizzandone il corpo solo come sensuali sbuffi multicolori sfumatissimi, mentre la testa gode di una dilaniante eruzione di passione che la fa turbinare in un’estasi fashion, con la bocca aperta e gli occhi chiusi sotto un pesante strato di trucco rosso. Nicola De Santis dal canto suo, con la sfrontatezza da “attor giovane” ma ugualmente consumato, sfidava il pubblico: “Non credo che vi piacerò… io sono pronto a tutto in qualunque momento…”; parlava da “Libertino”, con le parole tratte dal film di Lawrence Dunmore, e certo nessuno di noi uomini avrebbe permesso che un tale bellimbusto attentasse alle virtù delle nostre donne, ma pensiamo sia al contrario piaciuto molto a chi, single, si rivedeva nella sua “strafottenza” etimologica (“Vi auguro di avere degli amplessi mentre la vostra amante segreta vi osserva”)! Marzia Colandrea per la sezione teatro dello show, aveva preselezionato, infatti, storie classiche ed ironie moderne. E così, la pièce tratta da Salomè di Oscar Wilde rendeva il pubblico parte della corte di Erode, alias Agostino Terranova, ottimo nella parte del gaudente sovrano maledetto, il tetrarca che pur di veder ballare la sensuale Salomè (interpretata da Linda Sessa, ben avvezza a ricoprire i ruoli del teatro classico: capelli corvini, occhi da sacerdotessa di Baal bistrati con tizzoni fumanti, voce da indomabile) si piegava infine a concederle la testa di Joghenàm, il Battista, nonostante i presagi di sventura (“Danzerai a piedi nudi, ma sì, i tuoi piedini sembreranno colombe bianche… ma la luna diventa rossa come sangue…”.
Da questa prima messa in scena si passava poi, accompagnati dalla presenza di altre opere d’arte visiva, selezionate da Rossana Calbi e Marianna Pisanu, tra cui quella di Eleonora Gianfermi (co-fondatrice di Traslochi ad Arte con una debordante passione per l’arte decorativa) e Fabio Imperiale (un artista dallo stile consolidato, habituè degli eventi di Traslochi ad Arte) e la stilizzatissima serie di Daniele Frisina, ad altri momenti insoliti ed imprevedibili per il pubblico ignaro, ma sempre coinvolgenti e caratterizzati, grazie alle luci orchestrate da Federico Cinti, da un tono quasi sacrale. Francesca Saccà, attrice teatrale con esperienze con autori come Checov, Shakespeare e Sofocle (in rigoroso ordine alfabetico!!) ha letto con partecipazione non disgiunta da una appropriata coloritura dialettale il racconto sull’avarizia Il funerale di Edyth Cristofaro, in cui la salma di una vecchia calabrese, dichiarata ufficialmente tirchia in chiesa dalla nipotina e poi dal marito durante la funzione in suo onore, viene abbandonata davanti all’altare come la mummia d’un’appestata, perché forse anche in Calabria, una che arriva al punto di risparmiare anche le sue virtù fisiche, non viene apprezzata più di tanto.
A seguire, il video apparentemente necrofilo dei Vite a consumo che, su uno sfondo pop elettronico piuttosto mesto, mostra una lucertola morta divorata lentamente dalle formiche quale metafora dell’accidia: “Muore lentamente chi si limita a respirare, chi non viaggia, non legge, non ascolta musica, chi diventa schiavo dell’abitudine”. In rapida successione, i Vite a consumo (Fulvia Dilettuoso – voce, Filippo Morera – voce, testi, musica e video, coadiuvati dal lavoro di Mario Salvucci, sound producer) si sono esibiti in sync con il loro secondo video, “Indifferente”, sempre sul tema dell’accidia, in cui l’impaginazione video-grafica imponeva una striscia rosa shocking con la bocca d’un uomo cantante all’altezza della bocca d’una donna supina sul letto e sofferente, virata in verde. “Cosa ti dàaaa la tua arroganza, la tua sicurezza?”. La musica è un ipnotico molleggiamento elettronico su una melodia insinuante carica di “Gelida” recriminazione (“Gelida” è il titolo della loro performance).
Alessandro Bernabei, poi, stravaccato su una poltrona, ha interpretato un monologo di Gaber quale esempio di accidia, mostrando con voce e postura, tutta l’apatia di chi rinuncia, e volentieri!, ad uscire di casa per andare a vedere i migliori (ma non solo i migliori) spettacoli preferendo mettere le pantofole pure alla televisione!
Anche la danza è stata presente, con la performance sull’invidia di Elettra Carangio, Martina Vanini e Roberta Zerbon, le quali, sulla musica di Aaron Carlocchia, alternavano i loro corpi al centro di lusinghe gestuali e ripiegamenti languidi che ricordavano quelli di tre cheerleaders che confrontano tra ammirazione e stizza i loro pon pon su un lettone ad acqua di una pensioncina di Philadelfia. Si ritornava poi alla letteratura con Femmine di castoro del sottoscritto, il7 – Marco Settembre, una presunta letteratura, dunque (!), che si sfrangia farsesca nel dialogo a tre di una parrucchiera e due clienti prese in un gorgo di surreali ciarle vanesie sino alla finale e incendiaria rivelazione dell’invidia oversized e criminale della più invidiosa di tutte.
Subito dopo, riecco Nicola DeSantis proseguire il suo monologo sul libertino dichiarandosi ora sconfitto, caduto in disgrazia, rovinato: “Vi piaccio, adesso?” chiede, con sublime patetismo, subito chiosato dall’intervento luciferino dell’ottimo e mefistofelico GianLuca Tosi, giustamente arrochito nel declamare le ragioni dell’Uomo con le parole ingorde di anime che furono di Al Pacino ne L’Avvocato del Diavolo, concludendo con suprema superbia che il Novecento è stato tutto suo. Dopo un nuovo intermezzo musicato dai violini di P.Benassi e G.V.Galli, che hanno cadenzato i loro strumenti su tremuli pensieri d’un peccatore nordico che tenta di resistere al pentimento, la scena in fondo al locale è stata occupata dalla rappresentazione di un brano di Parenti Serpenti, in cui rinfacciamenti incrociati familiari prendono la loro forma straziata e grot-tesca nei volti, i gesti e la voce di un gruppo di attori ben assortito, in cui la molto avvenente mo-glie chiacchierata (Sonia Scorti) d’un marito passivo subisce lo svergognamento palese (“Tua moglie la sensibilità ce l’ha solo in un certo posto!”, etc etc…) da parte della parente acquisita (Alice Massei) con in testa un diavolo per ogni bigodino, fino all’esplosione d’ira finale, fronteggiata, forse osservata, dalla foto “Doppia identità” di Vincenzo Restuccia, in cui una don-na nuda con strisciate di sangue, intenta all’autopalpamento dei seni e macerata dall’ira, espo-neva una faccia impassibile, in realtà dissimulante, una sorta di maschera di cera chiaroscurata.
In chiusura, il video-racconto sulla gola di Veronica Tinnirello, 5° round: Big Neon contro Mac Fiorello, accompagnato dall’incedere incessante d’un ritmo elettronico con cori post-gregoriani, narra una storia da fumetto underground su due ammassi di rotoli (nel video si vedono, quasi astratti, e sembrano onde di uno tsunami di ciccia) che quando decidono di attaccare all’unisono una pasticceria chiusa, di notte, vengono scavalcati da un poliziottone ultra-obeso che entra al posto loro e sbrana tutto, lasciandoli all’asciutto, a decidere se la loro è carne impastata o pasta di mandorla incarnata.
Insomma, se volete sentirvi accerchiati da un’arte debordante, fatevi trasportare dalle prossime edizioni di Traslochi ad arte, ne vale la pena!
Il_7 – Marco Settembre
Foto di Fabrizio Perrini
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