E’ passato Natale, sarebbe facile tornare ad essere cattivi, ma abbiamo imparato la lezione. Saremo buoni. Un’altra volta, però. C’è da parlare (per l’ennesima volta) molto male degli effetti collaterali del funzionamento di una formula.
Se ci fate caso (e cogliamo l’occasione di riconoscervelo: siamo certi che siate gente che ci fa caso, o non vi ostinereste a ispezionare con noi tanta [M]arte emergente), è probabilmente da un pezzo che questa faccenda del vuoto/pieno deve aver oltrepassato i confini della connotazione stilistica.
Poi uno dice cosa dovrà mai volerci, per fare un album strumentale coi controcosi. In effetti è una bella domanda, da noi. Nel senso: tra le poche cose che pur sempre non ci mancano, c’è ancora quella fervida immaginazione paracula che se le gira è capace di rimasticare, restylizzandola, praticamente qualsiasi cosa.
ROMA- E’ stata una scelta deliziosamente tormentata quella che gli avventori dell’Auditorium Parco della Musica si sono trovati di fronte lo scorso lunedì 5 dicembre 2011: mentre la sala Petrassi ospitava il ritorno live di Paolo Benvegnù e del suo Hermann (uno tra i più seri candidati italiani degli ultimi due decenni a disco che non smettereste più di ascoltare, o da ascoltare poco perché la magia va tutelata tramite la ritualità), in sala Sinopoli avveniva invece il più classico, ma allo stesso tempo tra i più obliqui tra gli incontri musicali.
Erano stati un ragguardevole squarcio di divertita luce nel 2007 del nostro andergraund, che infatti ebbe un momento di sorprendente vitalità, anche sulla scorta del loro persino sottovalutato La Fuga Dei Cervelli: il prolungato silenzio che ne seguì, rotto solo dalla conferma di polso regolare fornita dall’Ep L’Oracolo E Il Fardello, è oggi finalmente infranto dal loro ritorno, che – rrrulloditamburi – tornano i Carpacho!
L’ideale romantico. L’eroe romantico. Il Romanticismo, con la maiuscola. Quanto avete amato (o odiato: sapete, le due stanze sono collegate da un tunnel nascostissimo, segreto come tutte le cose che avete sotto il palmo del naso) la saldezza incrollabile di un Artù, o il candore lucente di un agente Cooper, o di una qualsiasi tra le persone del cui impegno avete pensato “quant’è ingenuo”?
Dai, non mi fate quelle facce sorprese. Sì, lo sappiamo che ci state tutti in fissa, con questa faccenda che in Italia certe cose non si possono, non succedono, quando succedono non, eccetera eccì.
Quella del trevigiano Alessandro Zannier è anzitutto la sensibilità di un artista dal lavoro prezioso e multiforme: parliamo di un acuto osservatore, che nasce pittore ed evolve come assemblatore e creatore visivo, noto nel settore per opere come “Fear”, “I-Man”o “Sogno Di Un Avatar”, esposte in contesti di rilievo come la Biennale di Firenze o il Festival Internazionale Della Filosofia di Modena/Carpi/Sassuolo.
Certi topoi musicali hanno la fortuna di non essere mai troppo frequentati da paillettes, riflettori e lustrini. E per quanto noti ad addetti ai lavori o ascoltatori informati, certi musicisti conservano come un filo rosso dietro la coda del frac che ti invita a seguirli, ma alla fine lo farai se e solo se ce l’hai davvero, quella curiosità.
Come tutte le verità che qualcuno ti spara- flescia in pieno volto mentre pensavi a quale sushi buffet collaudare stasera, era stata folgorante l’osservazione di un anonimo commentatore web, che in una breve recensione dei fortunati Moralistidegli Amor Fou aveva elogiato l’ensemble milanese scrivendo che era ora, finalmente, che la si piantasse coi continui sbrodolii dell’introspezione e si tornasse a raccontare che cosa succede là fuori. Verissimo.