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Testaccio si tinge di Verderame

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[MUSICA]

verderamesquareROMA- Il Conte Staccio è gremito, il palco è pronto, carico di strumentazioni che non possono che generare aspettativa e curiosità, infatti per il basso si contano almeno cinque pedali, per le due chitarre semplicemente non si contano per quanti sono, c’è una tastiera con sintetizzatore piazzata davanti alla batteria, e doppi microfoni sia per il cantante chitarrista, che per il secondo chitarrista, con magica scatoletta da distorsione annessa.

Questi sono i Verderame, o meglio, la strumentazione di questi quattro ragazzi romani in procinto di uscire con il loro primo cd L’ultima recita dopo un anno e mezzo passato in studio e chissà quanti altri per imparare ad usare tutta questa roba.
Arrivano sul palco, imbracciano gli strumenti e spendendo poche parole cominciano a proiettare il pubblico nel loro mondo di suoni psichedelici, suoni che non ci si aspetterebbe da una rock band italiana, se non forse andando a scovare qualche adepto dell’elettro rock nell’underground torinese, ma di certo qui, nel nostro panorama è qualcosa di innovativo. Loro sono quattro ragazzi dallo stile semplice, ognuno con il suo, eppure appena cominciano a suonare insieme diventano una cosa sola, un gruppo vero, di quelli che sembrano persino respirare insieme, in più la passione e la grinta che mettono in quello che fanno trasuda da tutti i pori e tutta l’attenzione ora è per loro.

Le atmosfere e l’affiatamento non deludono, è vero che la vena malinconica prosegue dritta per la sua strada durante tutto il concerto, non c’è modo di riprendere fiato e godersi una canzone spensierata, ma in fondo questi musicisti cantano quello che hanno da dire, ed evidentemente la ricerca introspettiva emerge sincera e reale attraverso i testi e le sonorità intrise di una visione un po’ amara del mondo e dell’amore.
Nonostante la matrice elettronica, il groove del basso si sposa con la batteria acustica e le chitarre su molti incisi passano ad un classico distorto rock che fa contenti anche i più fedeli sostenitori del genere puro, grande attenzione dedicata ai testi rigorosamente in italiano che si sposano con le atmosfere dondolanti e nostalgiche sulle strofe per poi arrabbiarsi negli incisi, il cantante si contorce in smorfie di appassionato scoramento che ci ricorda il filone dei ragazzi dannati della nostra generazione, ma in fondo in fondo molto romantici. Ce n’è insomma per tutti i gusti, dalle ballate suonate al piano come “Digital blue”, alle distorsioni pesanti in “Polvere di stelle”, ma tutto eseguito con un certo stile e una ricerca lodevole dal punto di vista del sound. A questo punto aspettiamo “L’ultima recita” e poi lasciamo giudicare a voi.

Mikaela Dema

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