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Tribraco: Glue, le immagini incollate

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[MUSICA]

4ROMA- Un cantante hardcore che gioca a sedurre con la musica del diavolo, un gruppo che crea delle immagini senza proiettare nulla se non la musica. Il 17 febbraio al Brancaleone qualcosa di eccentrico c’era. Sempre che non si sia trattato di originalità.

Sul palco si prepara The Blues Against Youth, il progetto solista country-blues del frontman hardcore-metal dei The Orange Man Theory. Armato di chitarra, grancassa, hi-hat, e accompagnato dalla sua immancabile testa di cervo ornamentale, Gianni Serusi affronta il pubblico del Brancaleone con un mood tra Charlie Patton e Robert Johnson. Più fresco, meno fangoso, ma abbastanza travolgente. Battendo il tempo a ritmo di ballate blues, tra radici rock anni ’70 e influenze che arrivano direttamente dai Grand Funk Railroad.
Si apre così la serata che introdurrà una nuova versione del Tribraco. Poi il loro momento. I quattro musicisti cominciano a sfoderare i brani di Glue, disco fresco di stampa in Italia, già presentato negli Stati Uniti tra agosto e ottobre 2010, durante i 12.000 km percorsi nel Music and Miles Tour. Partono incalzanti “Fake!”, “Blue Glue”. Sul palco una disposizione che dà giustizia ad ogni musicista permette di tastare bene il mix che già sul palco fonde serietà, competenza, creatività riflessiva, e allo stesso tempo distesa, di chi suona per inventare forme nuove.
Grazie per averci preferito agli Skiantos”: Lorenzo Tarducci (chitarra e loop) rivela l’anima ironica del Tribraco e comincia il suo dialogo speziato col pubblico con cui, per tutto il concerto, alternerà la formalità di introdurre i brani, le sfide al pubblico (premi a chi indovina il possessore delle voci campionate), il dover tenere testa a Manlio Maresca (Neo, Squartet) e alle sue incessanti richieste dalla prima fila. Un bell’impegno. Soprattutto se accostato, poi, alla sua precisa5 perizia classica deformata da ciò che sporca con stile.

“Samatzai”, “Burlesque”. Tra le pieghe jazz rock dell’eclettico Tribraco ritornano dalla polvere dei  precedenti lavori le venature noise, sorprendono le nuove tensioni al futuro, il continuo convertirne i toni e palparne una strana colla che amalgama il tutto. Si tratta di quella colata in cui poi si ritrova tutto il senso del nuovo lavoro discografico prodotto da Megasound.
“Warlock Road”, “Volver a Buenos Aires”. Chi li conosce li incita, chi li sta vedendo per la prima volta non può evitare una faccia a metà tra sconcerto e soddisfazione. Ma nessuno può evitare di lasciarsi trasportare dai loro viaggi. Viaggi che portano nel passato, da dove spuntano fuori vecchi brani (“Salerno-Reggio Calabria”, “The Human Cannonball”) e avventure non troppo lontane (“L’Uomo del Nuraghe”). Nodi ironici, sfrontati e spensierati in cui le parole sembrano più che superflue.
Si prendono in giro i bassisti, quello “preso a noleggio” dagli Squartet, Fabiano Marcucci, e quello della line-up momentaneamente infortunato, Valerio Lucenti. Ma quando si suona c’è l’attenzione più completa. Colpiscono l’imperturbabilità di Dario Cesarini (chitarra ed effetti), l’intensità della batteria di Tommaso Moretti e una musica che pulsa di vita propria.
Fuori dai canoni, sicuramente, il Tribraco per questo secondo lavoro discografico ha costruito un percorso che porta a suoni più distesi, meno psichedelici del precedente Cracking the Whip (2009), ma che riesce a dare una storia e un senso ad ogni volo pindarico, sia esso mentale, musicale o percettivo.

Emiliana Pistillo

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