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Pane_ Orsa Maggiore

pane orsa-maggiore

pane orsa-maggioreInsomma, stamattina mi arriva questa mail che sembra spam. La apro: è spam.

Ah no, spè, dice: Caro (FingiamoDiRispettareLaPrivacyMaSappiamoChiSeiDoveAbitiECheMutandePorti), congratulazioni! Hai appena vinto un “bonus buttiamola sul personale” (BBSP), da usare nella tua prossima recensione! Evvai!
Me lo gioco subito per Orsa Maggiore [Dischi dell’Orsa/Controfase/New Model Label], il nuovo disco dei Pane, e consiste in una sola affermazione: questo è uno dei cd più emozionanti in cui io abbia mai avuto la sorte buona di imbattermi. Archiviata questa personale quanto necessaria premessa, andiamo quindi a raccontare lo SPLENDIDO terzo episodio discografico di questo quintetto di musicisti romani.
Di loro si è fugacemente raccontato la scorsa estate, quando li abbiamo fortuitamente scovati grazie a Le Mura e ad Eclettica, proprio mentre l’album era in rampa di lancio: da allora, i mesi successivi hanno fatto registrare una sempre maggiore circolazione del nome della band (peraltro già noti da tempo ad addetti ai lavori e semplici cultori), nel segno di una girandola graduale ma apparentemente inarrestabile di riconoscimenti sempre più univoci.
Ai quali, dicevamo in apertura, ci accodiamo senza paura di sembrar poco originali, perché Orsa Maggiore non è “solo” un grande lavoro di ricerca di gusto, di evocazione e di veste musicale: è una splendida opera d’arte italiana, attuale quanto antica, intima come di e per noi tutti, alta e tutta nostra, interamente composta di una poetica vibrante e sensuale eppure leggera e accogliente.
Avvicinatele con animo lieve (e, per pietà: senza fretta!), queste elegie del bello, del perduto, del senso senza speranze: muovetevi tra la faticosa autoindagine di “Umore”, trovate ristoro dalla gola riarsa dopo un viaggio nella Samaria senza pozzi in qualche bettola sperduta dove rhum e birra fanno ululare i pirati all’Orsa Maggiore, che esiga “che ci assumano in cielo da vivi”; osservate fiorire e sfiorire “Tutto L’Amore Del Mondo” tra la disperazione nera di “Cavallo”.
Assaporate i flauti di Claudio Madaudo e smettete di chiedervi come se la sarebbero cavata con l’italiano i Jethro Tull più alti, trovate nelle trame di piano e di chitarra (memorabile l’opera di cesello di Maurizio Polsinelli e Vito Andrea Arcomano) tutto ciò che il nostro prog ha saputo regalare quando ha parlato direttamente ai nostri sensi o alla nostra anima, e in Claudio Orlandi l’ispirazione ermetica di un Joyce e il tracimante lirismo vocale di un Francesco Di Giacomo o di un Demis Roussos.
Fremete e poi riposate. E poi rimettetelo su. Ancora e ancora.
Date ascolto a cinque voci ispirate che parlano e risuonano il loro amore e ve lo offrono.
E poi cercate in qualche modo di ricompensare ciò che senza dubbio otterrete incontrando questo lavoro e il mondo dei suoi autori.
Perché nella loro ormai ventennale attività i Pane disegnano un’altra splendida piccola-grande storia italiana fatta di musica e parola cercate con onestà, passione e pazienza, e di arte espressa con un trasporto che la sublima e la pone fuori dal tempo. Il genere di cose che riesce solo agli amanti. Il genere di musica che è assolutamente indispensabile. Come questo disco.

I Pane sono:
Claudio Orlandi: voce
Maurizio Polsinelli: pianoforte
Vito Andrea Arcomano:
chitarre
Ivan Macera: batteria
Claudio Madaudo: flauto

TRACKLIST:
L’Umore
Gocce
Orsa Maggiore
La Pazzia
Samaria
Tutto L’Amore Del Mondo
Fiore Di Pesco
Cavallo
Alla luna

Francesco Chini

 

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