Ring teatrale per un uomo solo, bendato, alle corde (fisiche e mentali), in ginocchio (davanti alle proprie azioni) per contrappasso eterno, nudo nella propria miseria, circondato e avvinto da sei anime candide e al contempo nere, donne che son Erinni e angeli, coro di Troiane, figure demoniache, la memoria eterea e tangibile

E allora metterlo alle strette quest'uomo senza umanità, colui che come ogni boia che si rispetti ha agito semplicemente per eseguire gli ordini, e che, una volta presa coscienza della gravità dei misfatti compiuti, agonizza interiormente, vinto da un insopprimibile senso di colpa. Per poi languidamente farsi capro espiatorio di sé stesso, passare per le forche caudine della propria mente e infine purificarsi.
Il peso grave della parola, il suo dipanarsi in forma di coro, il tramite più potente e meno superficiale per poter innescare qualsivoglia operazione di scavo interiore e di recupero di quel che è stato (sepolto dal tempo). Forza maieutica indistruttibile fin dalla tragedia greca che qui permane come assetto basilare, lamentazione carica di rimorsi di quel che non si è saputo/potuto/voluto fare e che ora si può recuperare per mezzo del Tempo, giudice e prestigiatore, in forma taumaturgica e liturgica, ancora una volta alla ricerca della catarsi liberatoria e definitiva.
S'apprezza in questo cubo nero l'impegno civile, il valore testimoniale, la lotta contro i sotterfugi dittatoriali della “bandiera della necessità”, la volontà di far conoscere (o far persistere in memoria) una storia tanto sanguinosa quanto sempre troppo sotterrata come quella dei desaparecidos e, per altri aspetti, s'avverte con veemenza nella cura della messa in scena quell'emergenza mai doma che coincide con la necessità d'esercitarsi, provarsi, cimentarsi, logorarsi nella rappresentazione, amplificando voci che lottano contro e oltre le pareti invisibili dell'oblio, nella speranza d'una ulteriore palingenesi. Voci che reclamano giustizia.
Salvatore Insana