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Limbo

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[TEATRO]

3ROMA- Il Limbo di Alessandro Fea somiglia più a un inferno in terra. Un inferno dove tutti i personaggi hanno potenzialmente a portata di mano ciò che desiderano senza poterlo del tutto avere.

La potente e drammatica storia d’amore tra l’infermiere Luigi (Gianluca Enria) ed Elisa (Aglaia Mora), rimasta completamente paralizzata dal collo in giù a causa di un incidente d’auto, è quanto mai vera, reale, passionale, anche se è una storia di solo pensiero.
L’impedimento alla realizzazione fisica dell’amore tra i due ne rende ancora più intenso il sentimento, riaprendo il capitolo dell’importanza o meno della fisicità nei sentimenti. E soprattutto mette in evidenza come certi sentimenti riescano a nascere anche in situazioni-limite, in cui “i problemi reali sono altri”, e sembra non esserci posto per l’amore; per un amore così, poi, ancora meno.
Luigi è un infermiere terrorizzato dall’idea di perdere il lavoro ed è sposato con Marta (Antonella Dell’Ariccia), moglie innamorata che ne soffre le continue assenze, da lui giustificate come straordinari: e non gli si può certo dire che menta, perché lui resta tutto il tempo in ospedale con Elisa, della quale pian piano si innamora teneramente. A stemperare e a muovere il tipico quadro del triangolo, Federica (Simona Oppedisano), collega, amica e confidente di Luigi. Federica è un7 personaggio chiave per l’economia della storia, perché porta in scena due contenuti fondamentali per la narrazione: innanzitutto l’umorismo tipicamente romanesco che fa (sor)ridere gli spettatori alleggerendo un tema tanto difficile quanto quello della malattia; e poi, soprattutto, è portatrice di un messaggio che è un inno alla vita, un invito a berla fino in fondo, perché non c’è mai dato sapere cosa ci riserverà l’attimo successivo. Ma non è un semplice richiamo d’edonismo, quanto piuttosto uno schiaffo forte alla paura di vivere, alla paura dei sentimenti e dei cambiamenti, di cui l’iniziale timore di Luigi di fronte alla forza di quello che sente è una prova più che tangibile.

L’atto unico, in scena al Teatro Belli dal 9 al 20 dicembre, è l’ultimo spettacolo – in ordine di tempo – di Alessandro Fea, giovane e talentuoso autore romano, la cui scrittura sempre potente e incisiva riesce stavolta forse più che mai a imprimersi nella mente dello spettatore, mettendogli davanti il dramma e la commedia della vita così come essa è, in modo diretto, senza filtri né tantomeno banalità, e lo tiene attento fino all’ultimo secondo, fino a un finale tenero e spiazzante. Da vedere.

Chiara Macchiarulo

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