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Autore: Oriana Rizzuto

F come figura

Siamo giunti alla F. Quanti significati vengono in mente, a quante cose pensiamo con il temine “figura”: fisica, immaginaria, geometrica, allegorica, umana, teatrale, animale, artistica, simbolica, religiosa, mistica, decorativa, comportamentale, sportiva, filosofica, letteraria. Ma a nessuno viene in mente la figura musicale, che non ha nulla a che vedere né con l’espressione artistica né con l’estro di un musicista, né tantomeno con la forma di uno strumento.

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Musica e luci: Villa Medici aperta all’elettro pop

Si è aperta con il dj set di Miss Kittin la sesta edizione di Villa Aperta, il festival di musica pop, electro e rock dell’Accademia di Francia a Roma, dal 4 al 6 giugno 2015 nella cornice incantata dei giardini di Villa Medici da cui si può godere di una delle viste più belle della città.
Tre serate di live che vedono alternarsi sul palco nomi di fama internazionale e nuovi talenti, capaci di reinventare stili e linguaggi musicali.

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E come estensione

E come estensione. Oggi quando parliamo di “estensione” il primo pensiero va alle tante forme di file informatici che quotidianamente utilizziamo su un PC, o piuttosto su uno smartphone o chissà quale altro dispositivo: l’estensione, appunto, indica il tipo di programma utilizzato per creare un determinato documento (.doc, .pdf, .mp3, etc…).

Ma cosa indica in musica il termine “estensione”? Comunemente, in musica, si usa per indicare l’intervallo di suoni riproducibili da parte di strumento musicale o di una voce: ad esempio, il soprano e il contralto hanno un’estensione vocale che permette di eseguire suoni alti nel primo caso, mentre il secondo arriverà a determinati suoni bassi. L’estensione è dunque la possibilità e la capacità di riprodurre una varietà di suoni che va da una data nota bassa ad un’altra nota alta.

Stessa cosa vale per tutti gli strumenti musicali: un oboe o un violoncello possono arrivare a riprodurre delle note basse, mentre un violino o un flauto riprodurranno delle note ben più alte, cioè più acute, tecnicamente si dice “di ottave più alte”.
Poi ci sono degli strumenti in cui la possibilità di suonare note basse e acute, è maggiore, come ad esempio il pianoforte. Delle cinque ottave che compongono la tastiera (cioè tutti i tasti bianchi e neri dal primo a sinistra all’ultimo a destra), possono essere riprodotte note di diversa estensione, dalle più basse a quelle più alte.
Ma una nota più acuta di quella che suona l’ultimo tasto a destra, non sarà possibile. Quella è la nota più alta che l’estensione del pianoforte può riprodurre.

La voce, al contrario, è uno strumento meraviglioso anche in questo: duttile, è possibile educarla, allenarla, estenderla con esercizi e studi fino a riprodurre con il canto una varietà di suoni che sembrerebbe impossibile da immaginare.

Come a dire, soprano non si nasce, ma ci si diventa! Certo, lì poi entrano in gioco altre variabili come la lunghezza e l’elasticità delle corde vocali, l’ampiezza della cassa toracica, la tecnica acquisita, la capacità dell’interpretazione e dell’espressione, la vena artistica. Certamente un uomo, intendendo di sesso maschile, pur volendo e anche facendo innumerevoli esercizi musicali, non potrà mai arrivare a riprodurre suoni come un soprano (un soprano è sempre donna). A meno che non sia stata “manomessa” la natura: tutti ricordiamo, attraverso il film omonimo, Farinelli che, come tanti cantanti nel passato, pur di mantenere una voce “bianca” (quella tipica dei bambini che erano gli unici cantori ammessi nel coro in chiesa perché appunto considerate voci “pure”) è stato evirato in modo tale che lo sviluppo fisico non vada a fare quel “lavoro” di mutamento delle corde vocali che riconosciamo in un adolescente nel suo passaggio verso l’età adulta. Con la sua voce angelica, Farinelli, divenne il cantante castrato più famoso in tutta Europa nel Settecento (nella foto, l’estensione vocale sul pentagramma di Maria Callas).

La voce potrebbe essere paragonata alla vita. Tutte e due possono essere estese, arricchite, con tecniche e studi, e con tanta volontà (ma anche tanta, tantissima pazienza) possiamo, se vogliamo, spostare il confine delle nostre possibilità, fare cose mai pensate e ogni volta accorgerci che possiamo impegnarci per fare tanto altro in più.
E chiudo con un motto che da un po’  ho adottato e che mi sembra bellissimo: la vita non si può allungare, ma allargare ed estendere, sì!

O.R.

D. Diapason

Cosa vuol dire l’espressione “Dammi il LA?”. Cosa sottende tecnicamente, oltre che metaforicamente, questa frase? Il LA, lo abbiamo visto qualche editoriale fa, è la nota base della scala musicale tonale come la conosciamo oggi. Il LA era proprio la prima nota da cui partiva la scala musicale, quella scala base che non prevedeva nessuna alterazione (con alterazioni intendiamo bemolle e diesis quelle note che sul pianoforte corrispondono ai tasti neri).

Il LA come nota principale sui cui si fonda il nostro sistema armonico-musicale a cui siamo abituati. Sin dal Medioevo, appunto, il LA (che con lettere dell’alfabeto, oggi ancora usate dal mondo anglosassone, corrisponde alla lettera A) era il suono base da cui si partiva per suonare, cantare e intonare gli strumenti. Ecco, arriviamo al punto. Per far sì che più strumenti diano un suono armonico, devono essere “intonati”: se ci sono diversi strumenti, o più strumenti dello stesso tipo (in una band, ad esempio, ci sono diversi strumenti, mentre in un quartetto di musica da camera possiamo avere strumenti simili come tre violini ed una viola) se questi strumenti suonano una stessa nota, ad esempio il DO, tutti dovranno produrre lo stesso suono, della stessa lunghezza d’onda, per capirci. Tutto ciò non è automatico, gli strumenti non nascono “intonati” o “accordati”, come si dice in termine tecnico. Altro esempio: un liutaio che costruisce violini, dopo aver costruito la cassa armonica e montato le corde, “tirerà”, e quindi accorderà, le corde al punto tale che ciascuna di esse emetterà un suono ben preciso (suoni a corda libera, perché se si tocca una stessa corda con dita o con archetto si emettono altre note a seconda del punto in cui si tocca la corda stessa). 

E allora, per fare in modo che sia accordato lo strumento, lo si tarerà su una nota comune a tutti, cioè lo si accorderà partendo dal LA, e avendo trovato quella, tutte le altre corde saranno intonate a partire da essa. Quindi, un violino, una chitarra, un basso, un pianoforte, a partire da un LA, stringendo o allentando le varie corde, emetteranno suoni che corrisponderanno alle successive note della nostra scala musicale.

Ma come si trova questo LA? Chi ce lo dà? Come si fa a sapere che tutti gli strumenti, anche da diversi capi del mondo, suonando la nota LA emetteranno tutti lo stesso suono corrispondente esattamente alla nota LA?
Ed eccoci giunti al punto: il DIAPASON. E’ un piccolo strumento metallico, di forma simile a una Y, che toccato produce naturalmente il LA, quel suono preciso che corrisponde, nel campo della fisica del suono, a 440 Hertz. Un piccolo strumento (oggi lo troviamo in diverse forme, anche uno che sembra una piccola trombettina, come quelle delle feste per bambini) che dà a tutti la stessa nota, e che sembra annunciare a gran voce: Io sono il LA, tutti voi dovete accordarvi a me, in modo che produciamo suoni armonici e intonati gli uni agli altri. All’inizio di ogni concerto, sinfonico o anche pop, pochi minuti prima dell’inizio, si sentono i musicisti che tra di loro suonano delle note, apparentemente così senza senso. E’ quello il momento in cui si dà il LA, e tutti si allineano a quella nota “maestra”.

Per ciò si dice, “dammi il LA”, cioè per dare il via ad un’esecuzione armonica, intonata. E così, nella vita, così come in un concerto, serve avere una stessa nota base “universale” da cui partire per essere accordati, allineati, tutti d’accordo sul fatto che si sta eseguendo qualcosa in un insieme, un insieme eterogeneo che crea un unico armonico, e avendo un LA da un diapason da cui siamo partiti per accordare il nostro strumento, saremo tutti intonati!

O.R.

SALVIAMO I TALENTI al TEATRO VITTORIA

Lo spettacolo vincitore della scorsa edizione e riproposto quest’anno ha emozionato tutti in sala. Messa in scena da film in bianco e nero. E soprattutto uno spettacolo a teatro muto. Le musiche del maestro Chaplin che fanno da filo conduttore e narratore. Senza parole. Perchè, inizia così lo spettacolo dalle stesse parole di Chaplin, “Le parole spesso sono inutili, a volte sono fragili”. Parliamo de “Il Monello” di Charlie Chaplin, al Vittoria con l’adattamento di Lorenzo Cognatti, e soprattutto con bravi attori con Brian Latini e Gabriele Davoli nei panni di Charlot e del piccolo monello.

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C

“C” come chiave. E non parliamo di una chiave qualunque, anche se questo termine ci riporta ad un significato ed oggetto ben identificato, oltre che a diverse accezioni simboliche.
Parliamo della “chiave musicale”. E partiamo col dire che di base ce ne sono tre: di DO, FA e quella di SOL, comunemente conosciuta come “chiave di violino”.

Sono dei segni, mutuati e mutati graficamente nel tempo da lettere dell’alfabeto gotico, che vengono posti sul pentagramma, prima dell’inizio delle note musicali, perché è proprio la chiave a dettare la regola, chiamiamola così, “di lettura” perché, a seconda di dove è posta, serve a fissare la posizione delle note e la relativa altezza dei suoni. Le chiavi musicali, sistemate in posizioni diverse sul pentagramma, danno la possibilità di scrivere la maggior parte di note dei suoni, dai più o meno gravi o acuti, per evitare il posizionamento delle note, esternamente ai “righi”, tramite i tagli addizionali, segnetti che si pongono sopra o sotto il pentagramma per le note più acute o gravi.

La chiave definisce e indica “la lingua” con cui andremo a leggere, e poi ad eseguire, uno spartito. Un paragone più esplicativo potrebbe essere che le note sono come le lettere dell’alfabeto latino (e cioè quello che comunemente usano la maggior parte delle lingue occidentali), ma che le stesse lettere, e combinazioni, cambiano significato secondo la lingua. Altro paragone potremmo farlo prendendo come riferimento i nostri telefoni e la maniera più consueta di scrivere gli SMS, usando lo strumento del T9 e cioè, dopo aver selezionato la nostra lingua di riferimento, il sistema riconosce la composizione di una parola attraverso la combinazione di alcuni tasti e a quelli dà un significato.

Riportando il tutto alla quotidianità, diciamo che tutti noi vediamo e leggiamo la realtà attraverso delle chiavi “di lettura”, che ci aiutano ad interpretare segni e simboli, concetti e preconcetti. La chiave dà l’indicazione di come dobbiamo leggere un testo, un articolo, un’immagine, uno spettacolo, e scoprire che riusciamo a capire il significato di qualcosa universalmente riconosciuta da tutti grazie ad una guida. Ecco, la chiave come una guida!

O.R.